A conclusione delle raccolte stagionali (grano, mais, soja, girasoli, bietole, colture
industriali) è emerso un forte calo del prezzo in generale. In alcuni casi le produzioni hanno registrato un calo quantitativo per ragioni di tipo climatico, in altri casi l’embargo
russo verso la frutta, la propensione all’acquisto è diminuita (vedi il caso delle pesche durante l’estate). I prezzi di produzione, invece, non sono diminuiti.
E’ evidente che lo scotto della “crisi” lo paghino, principalmente, i produttori, e il consumatore finale non ha avuto benefici.
Considerando la filiera corta e le organizzazioni più estese di distribuzione, gli agricoltori criticano la mancanza di distribuzione della remunerazione all’interno della filiera distributiva e di trasformazione tra chi gestisce quantitativi industriali di merce e chi invece vende direttamente i prodotti delle proprie terre (definite “miniere” per il loro valore intrinseco). Sembra esserci disparità nel riconoscimento di prezzi, che dà adito più a speculazioni che al corretto compenso.
“Il rischio che si corre è che molte aree siano abbandonate – spiega Gian Piero Ameglio, presidente provinciale CIA AL -; sul nostro territorio, la zona di Ovada, Valcerrina, le zone collinari e pedomontane (ad esempio) negli ultimi anni si sono impoverite molto per le scelte (sofferte ma razionali, purtroppo necessarie) degli imprenditori agricoli. E’ un danno per tutti: per gli agricoltori che chiudono le attività, per l’indotto agroalimentare, per il territorio che perde il suo mantenimento, per gli addetti ai lavori che perdono una possibilità di occupazione”, conclude Ameglio.
Il suggerimento resta sempre quello di preferire i prodotti locali del territorio per ragioni di qualità, tracciabilità e tutela del proprio ambiente e per ragioni anche economiche, nulla è avulso.