Dove vogliamo andare? Come? e Perche’? Riflessioni in margine alla prossima “Marcia per la Pace

Cavalchini nuovadi Pier Luigi Cavalchini
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Davide Tabarelli e Guido Rossi forse dicono poco alla maggioranza di chi legge ma, avendone tempo e modo, dovrebbero essere fra le letture di “routine” per provare a capire dove stiamo andando, come e con chi ci stiamo muovendo. Tabarelli è il numero uno dell’Istituto di Ricerca NOMISMA e, il secondo (Guido Rossi) una delle penne più felici del giornale “Il Sole 24 Ore”. Grazie a loro provo a portare a compimento ciò che avevo già preannunciato nel mio commento all’ultimo intervento di Gianni Ferraris.

Tabarelli ci dice (ormai da un paio d’anni), con le facilitazioni offerte dai principali media nazionali e internazionali, che ciò che stiamo ereditando in termini di marginalità e “povertà” all’interno della Comunità Europea non è né più né meno che l’esito di una stagione di “pazzia” che ha portato l’Italia in una “palude mefitica” (sic): errori in campo energetico con l’eliminazione della “competenza nucleare italiana” (sic), l’impossibilità di avere produzioni energetiche forti di origine tradizionale (in primis il carbone), l’eterna pesantissima dipendenza da altri Stati per il gas (vedi Russia) e per l’elettricità diretta ( vedi Francia). Il tutto condito con frasi durissime rivolte, più che al mondo politico “totalmente inutile” (sic), ad una classe imprenditoriale tipo “prendi i soldi e scappa” incapace di interpretare il rilancio delle attività di tutti i settori agro-industriali una volta archiviata la stagione del “boom”. Spesso Tabarelli dà la colpa a chi “si è messo in mezzo” anche, senza saperlo, conto terzi… E qui i riferimenti vanno ad un movimento ambientalista forcaiolo e poco propositivo, in grado solo di dire no e, soprattutto, “di non saper creare reti credibili proposte innovative”. Forse l’accenno, ma qui vado ad interpretazione, oltre che alla rappresentanza accademica del movimento (quindi quella che dovrebbe sapere e saper proporre “innovazioni”) va anche al mondo sindacale che dopo una felice fase “propositiva” (questa volta le virgolette sono mie),che è culminata nell’autunno caldo del 1969 , poi – praticamente – si è rinchiusa in rendite di posizione, in iniziative di sola difesa dei diritti senza capire che le aziende stavano andando a fondo. E con esse l’Italia. Ma l’attacco di Tabarelli, come avrete capito era un altro e vedeva nel “tentativo di originalitàù” dell’Italia, purtroppo non portato a termine, proprio la causa della sua subalternità e inconsistenza attuale. … De gustibus…

Chi ha letto le mie ultime considerazioni in merito sa, invece, che questa ultima parte (riferita al Sindacato) è un po’ anche la mia posizione e ritengo che sull’analisi di quanto è successo fra i Settanta e i Novanta in Italia dovremmo a breve ritornare, senza dar sempre la colpa all “amico-nemico” americano o a qualche altra interferenza esterna. Continuando a non voler vedere le cose come stanno veramente, si va a dare ragione all’attuale gestione di Nomisma che vorrebbe più deregulation, meno leggi di tutela ambientale, un “pensiero unico” basato sull’attuale modello vincente, quello dell’autoritarismo cinese, o – meglio ancora – della “democrazia delle corporations” .

E qui veniamo a Guido Rossi che, nel suo “La democrazia in crisi e le sirene autoritarie”, senza giri di parole – e da un palco autorevole come il “Sole 24 Ore” – ci dice che ormai la democrazia non è più dei cittadini ma, per l’appunto, delle “corporations”. Aggiunge che già una serie di “aree del mondo” si sono adattate alla bisogna e che il capitalismo liberal-democratico è stato ormai sconfitto dalle nuove tecnologie (specie in termini di velocizzazione dei messaggi), dall’economia ormai solo più “finanziaria” e, soprattutto, dagli errori della “guerra globale”. E leggere una critica durissima alla Prima e alla Seconda Guerra del Golfo, alle modalità di intervento in Afghanistan, in Libia e in una serie di altre realtà se, da una parte, può confermare un (inutile) “ve l’avevo detto”, dall’altra fa rizzare i capelli quando Rossi ci porta ormai a considerare come unica garanzia “allargata” (sic) del “Primo Mondo” la vecchia e cara NATO. Se volete leggerlo in integrale è su internet, partendo dal sito del Sole 24 Ore (pubblicato il 5 ottobre 2014).

Dove si va allora? Dove si vuole andare? Dove si “può” andare? (qualche domanda retorica non guasta e mi permette di riprendere il filo del discorso…).

L’ottica non può che essere quella di una sola Terra a disposizione, cioè di una consapevolezza vera dei limiti del nostro pianeta, della necessità di salvaguardarlo e di salvaguardarne gli abitanti (tutti, umani e non), conoscendone meglio caratteristiche, storie, diritti e quant’altro può servirci per il nostro agire di tutti i giorni.

Questa, evidentemente, non può che essere una sintesi approssimativa … meglio risalire all’originale: eccolo.

Il testo è a cura dell’amico Piero Confalonieri di Venezia (letto in occasione della presentazione della prossima “marcia per la pace” Perugia-Assisi di domenica 19 ottobre p.v.)

“Sono passati quasi vent’anni da quando Alex Langer, promotore di reti, mobilitazioni, Langeresperienze contro la guerra, per il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente, per la convivenza e la “conversione ecologica”, ha deciso di finire i suoi giorni. Alex, infaticabile nel seguire iniziative, scrivere, partecipare a incontri, viaggiare in lungo e in largo per l’Europa, ad un certo punto, nel luglio 1995, ha sentito troppo pesante il peso delle aspettative.

Un messaggio scritto poco prima dell’ultimo gesto chiede ai suoi compagni di “… continuare in quello che è giusto”.

Nato in Alto Adige (Südtirol), ha vissuto da subito e in prima persona la tensione inter-etnica tra residenti tedeschi e italiani, cosa che marcherà il suo interesse e il suo attivismo per la convivenza interculturale. Eletto deputato al Parlamento europeo nel 1989, diventa primo presidente del neo-costituito Gruppo Verde europeo. Stando dentro le istituzioni, ha sempre lavorato attivando reti della socidetà civile, iniziative trasversali sulle tematiche della pace, dei diritti umani, dell’ambientalismo. In alcune iniziative, ha collaborato con Terra Nuova.

Nel 1994, ha lasciato due documenti con caratteristiche simili, cioé brevi scritti molto densi di concetti ed esperienze concrete vissute.

Un primo documento è stato da Alex chiamato “Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica”, dove in una nota lo stesso autore chiarisce che “inter-etnico” è da riferirsi a tutte le situazioni di incontro tra diversi (diverse religioni, diverso colore della pelle, diverse culture). Oggi sarebbe più agevole sostituire il termine inter-etnico con quello di interculturale.

Questo testo sviluppa con poche frasi dieci punti programmatici per rendere possibile un lavoro sull’interculturalità e la convivenza.

Questi punti sono:

La presenza di più culture sullo stesso territorio sarà inevitabilmente la norma più che l’eccezione; l’alternativa è tra rifiuto ed esclusivismo etnico o la scelta della convivenza

Identità e convivenza: mai l’una senza l’altra. Senza la consapevolezza di essere italiano, non costruisco nessuna convivenza ma mi ‘travesto’ da qualcos’altro… Nè inclusione nè esclusione forzata

Conoscersi, parlarsi, informarsi, inter-agire: “più abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo”

Identità etnica magari sì, ma non a una sola dimensione: territorio, genere, posizione sociale, tempo libero e tanti altri denominatori comuni. Non fondare l’identità personale solo su una variabile; non appartenenze solo etniche ma anche sportive, musicali, ecc.

Definire e delimitare nel modo meno rigido possibile l’appartenenza, non escludere appartenenze ed interferenze plurime

Riconoscere e rendere visibile la dimensione pluri-etnica di un luogo: i diritti, i segni pubblici, i gesti quotidiani, il diritto a sentirsi di casa.

Diritti e garanzie assicurati da leggi sono essenziali ma non bastano; norme etnocentriche favoriscono comportamenti etnocentrici

Dell’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Occorrono “traditori della compattezza etnica”, che da una ‘tifoseria’ instaurino il dialogo con l’altra, ma non “transfughi” che rompano completamente con il proprio gruppo di appartenenza.

Una condizione vitale: bandire ogni violenza. La consapevolezza della facilità con cui si innesta una spirale di violenza, ci impone di assumere un atteggiamento vigile su ogni forma ed espressione di odio o rifiuto, che porta a considerare normale la discriminazione o la ‘pulizia etnica’.

Le piante pioniere della cultura della convivenza: l’importanza dei gruppi misti inter-etnici (per piccoli che possano essere).

Il testo è molto attuale, e la sua lettura è oggi emozionante perché si coglie come lo sguardo di Alex riuscisse a focalizzare le dinamiche di lunga durata ma al contempo senza perdere la capacità di focalizzare il presente e dare indicazioni concrete. E’ emozionante perché si parla di noi, ci fa sentire nuovamente che il quotidiano (e a volte frustrante) sforzo per ‘tessere’ relazioni umane di ascolto e convivenza, di far vivere gruppi misti di lavoro tra persone assai diverse, di smontare pezzo per pezzo barriere e muri, è importante. E’ importante anche perché ci toglie subito dall’impiccio del ‘buonismo’, come atteggiamento sciatto che facilmente vira al sottile razzismo. Scrive Alex: «Per la prima volta nella storia si può – forse – scegliere consapevolmente di affrontare e risolvere in modo pacifico spostamenti così numerosi di persone, comunità, popoli, anche se alla loro origine sta di solito la violenza (miseria, sfruttamento, degrado ambientale, guerra, persecuzioni…). Ma non bastano retorica e volontarismo dichiarato: se si vuole veramente costruire la compresenza tra diversi sullo stesso territorio, occorre sviluppare una complessa arte della convivenza». Di questa complessa arte della convivenza siamo chiamati ad essere maestri e artigiani.

Il secondo testo di Alex Langer, dello stesso periodo e con lo stesso intento di ‘distillare’ la sua esperienza è “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”. I punti sono:

Abbiamo creato falsa ricchezza per sfuggire a fasle povertà. Re Mida patrono del nostro tempo.

Non si può più far finta di non sapere. L’allarme è orami suonato da almeno un quarto di secolo ed ha generato solo provvedimenti frammentari e settoriali

Perché l’allarme non ha prodotto la svolta? E’ già finito l’intervallo di lucidità (Stoccolma 1972, Rio 1992)?

… Sviluppo sostenibile. Pietra filosofale o nuova formula mistificatrice?

A mali estremi, estremi rimedi? (Muoia Sansone con tutti i filistei? Ecodittatura?)

La domanda decisiva è: come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? “Lentius, Profundius, Suavis” al posto di “Citius, Altius, Fortius”

Possibili priorità nella ricerca di un benessere durevole

Una Costituente ecologica?

Rileggerlo in questi giorni in cui è in corso con fuochi d’artificio retorici il summit mondiale “Rio + 20” è nuovamente esperienza impressionante. L’allarme continua a suonare sempre più forte e chiaro circa il raggiunto ‘punto critico’ di assorbimento dei cambiamenti antropogenici da parte del Pianeta, ma nessun provvedimento è stato né verrà preso. Anche le proposte abbozzate nel punto 7, sono assolutamente attuali e prioritarie, ma restate inascoltate e disattese. Il testo è ora ripubblicato dalla casa editrice Gli Asini con altri interventi di Alex Langer e di Giuseppina Ciuffreda, in un libretto dal titolo “Conversione ecologica e stili di vita. Rio 1992-2012”.

Rileggerlo nuovamente dà l’idea di quanto i temi proposti dall’area di azione e pensiero definibile come “rosso-verde” abbia prodotto analisi lungimiranti e profetiche, ma non sia stata capace di trasmetterle in modo convinto e convincente (anche questi due aggettivi, uniti così da Langer, nell’indicare la necessità di un discorso che obblighi gli interlocutori a una messa in discussione).

La crisi economica mondiale, provocata da un Re Mida fuori controllo, la violazione dei diritti dei migranti che si compiono in Italia sotto i nostri occhi, le guerre fratricide in giro per il Pianeta ci obbligano a fare di più e meglio, a “continuare in quello che è giusto”… per noi, i nostri figli e anche per Alex”.

Che dire di più?