Mio figlio era un ragazzino, allora, quel sabato mattina, quando vide la guardia Montedison con le lacrime agli occhi consegnarmi la lettera di licenziamento. La vide da me rincuorata: <tranquillo, ci rivedremo in fabbrica, presto>. Ma la vide non convinta continuare a balbettare scendendo le scale: <una vigliaccata, una vigliaccata>.
Anch’io pensavo: questa volta sarà dura…preparo subito il ricorso al pretore…questa volta mi gioco tutta la mia vita. Pensavo, ma mio figlio mi sentì dire: <nessun problema, vincerò in tribunale>. E sentì mia moglie mormorare: <come farai a dirlo a tua mamma?>. Le altre volte per la nonna era stato un dramma.
Questo licenziamento non arrivava inaspettato ma era la logica conclusione della “escalation” di una vicenda ventennale fatta di esposti, denunce, manifestazioni, scioperi della fame, incatenamenti, chilometri di firme di solidarietà, titoli su titoli in giornali e TV; ventitré udienze in tribunale, sette cause in pretura, quattro in appello, due in cassazione, tutte concluse felicemente ma piene di sofferenze: cassa integrazione, tre trasferimenti, dieci anni di dequalificazione professionale, nove mesi di inattività assoluta e retribuita, mobbing, oltre ad uno stillicidio di tentati provvedimenti disciplinari e vertenze minori. E, dulcis in fundo, licenziamento.
Vittorie. Ma per mia mamma ogni vittoria non era stata solo fonte di gioia bensì di preoccupazione per la battaglia successiva, per la rappresaglia successiva. <Diglielo anche tu a tuo papà>: quante volte se lo era sentito dire mio figlio. E ora l’azienda, che le aveva provate tutte, offerte di carriera e milioni compresi, tentava la “soluzione finale”. Il licenziamento. Una mazzata. A questa età non trovi più lavoro. Impossibile con il mio curriculum nei movimenti sindacali, ecologisti, pacifisti, scolastici, culturali, di quartiere, di territorio, di opinione eccetera. Senza lavoro sei un uomo finito, un disperato. L’unica speranza è in tribunale. Devo vincere. E’ un licenziamento illegittimo, articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, giusta causa. Posso vincere. Rifiutare l’abiura che l’azienda all’ultimo mi offre.
Vinsi. E ritornai al lavoro, e affrontai (come temeva mia mamma) altre rappresaglie e ricorsi in tribunale. Insomma continuai e continuo a organizzare lotte popolari per investimenti ambientali, per tutelare la salute e l’ambiente salubre. Grazie all’articolo 18. Sarei invece stato costretto a troncare questa missione se l’azienda, anziché l’obbligo del reintegro in fabbrica, avesse avuto la possibilità di liberarsi di me semplicemente pagando una indennità (con enorme risparmio rispetto alle cifre che era stata disposta ad offrirmi negli anni precedenti).
Anzi, non avrei dovuto aspettare vent’anni e ventitré udienze in tribunale, perché sarei stato licenziato e “indennizzato” subito alla prima occasione (risparmiando l’azienda miliardi di investimenti ambientali). Anzi, non avrei neppure cominciato giovanissimo a dare preoccupazioni alla mia famiglia, perché è già così difficile e oggi sempre più raro trovare il coraggio per lottare e rischiare sulla propria pelle, che non si può chiedere a nessuno di votarsi al sicuro martirio senza l’articolo 18. Dunque è giusto estendere l’articolo 18 anche a chi lavora nelle aziende con meno di 15 dipendenti.
Non solo l’articolo 18. Accanto a questo, ci sono altri 40 articoli nello Statuto dei lavoratori conquistato nel 1970, che andrebbero aggiornati per stabilire più e nuovi diritti, estesi a tutti, ma che invece vogliono –padroni e governo- abbattere uno per uno a cominciare dall’articolo 18, affinchè diventiamo tutti precari, merci e non più persone. L’art. 18 va esteso a tutti, difendiamo ai lavoratori presenti e futuri i 41 articoli dello Statuto, garantiamo a tutti diritti che non erano fino al 1970: di pensare e dire, di non essere indagati, schedati, discriminati, perquisiti, minacciati, ricattati, puniti, di non essere retrocessi di mansione, di non essere pagati meno, di mangiare seduti a tavola, di opporsi a lavori che ammalano e uccidono, di scegliere un sindacato per farsi difendere, di fare il sindacalista per difendere gli altri, di fare sciopero, di non essere licenziati per ingiusta causa, a causa di quei diritti.