Che bufera dopo le esternazioni di Sergio Chiamparino su La Stampa riguardo all’intenzione di vendere (diciamo meglio: di questi tempi svendere a prezzi da super saldo, o da fallimento) l’ExpoPiemonte di Valenza! E pensare che noi ci saremmo attesi una maggior levata di scudi sull’altro fronte, quello delle Terme di Acqui. Dove invece il dissenso di esponenti del centro sinistra è stato decisamente più soft, mentre il sindaco della città termale (Bertero, Forza Italia) ha addirittura esultato, perché lui la vendita delle quote la teorizza da tempo.
Ma chi ha ragione, sul fronte valenzano come su quello acquese? Chiamparino ha soltanto sbagliato stile (troppo sprezzante in effetti: i provinciali puoi tenerli nell’oggettiva marginalità, ma devi carezzarli nell’orgoglio), o ha anche torto nella sostanza?
Su ExpoValenza fino a pochi giorni fa in tanti, se citavi la struttura, accennavano ad un sorriso imbarazzato o ammiccante, del tipo ‘dai, che la storia la conosci anche tu’. E insomma, che si trattasse di una sorta di cattedrale nel deserto costata uno sproposito sembravano pensarlo in molti, e trasversalmente.
Certo, il tono di sufficienza di Chiamparino, e la battuta sul burraco, non ha aiutato, e i valenzani (di cui spesso si dice che sono emblema dell’individualismo più bieco) si sono scoperti falange unitissima, dietro le parole di Daniele Borioli. Che, decisamente, non è stato ‘tenero’ con il suo compagno di partito, accusandolo di aver usato parole “superficiali, inadeguate e sbagliate”, e insomma di aver liquidato la questione con troppa superficialità, evocando ad un certo punto Bulgari, quasi nella speranza che un privato arrivi a ‘togliere le castagne dal fuoco’ alla Regione.
E nella nostra intervista di stamattina Borioli rincara la dose: “Dall’intervista su La Stampa si vede solo la serranda che scende. E per questo basta un usciere. Noi Chiamparino lo abbiamo eletto per governare”.
Quando, in campagna elettorale, incontrammo Sergio Chiamparino (già presidente della Regione in pectore: rararamente elezioni furono tanto scontate) in un incontro cordiale e informale in un bar del centro di Alessandria, ci fece (non solo a chi scrive, credo) l’impressione di una persona perbene, preparata, poco incline a toni enfatici e certamente consapevole dei tanti nodi che, a partire dall’autunno, sarebbero venuti al pettine. E anche bravo a ‘schivarli’, in quel momento.
Ma ora siamo al dunque. E se è vero che, da ex sindaco di Torino, Chiamparino ha già sperimentato la soluzione “ciò che genera passivo lo vendo, e faccio cassa”, su scala regionale le cose si complicano un po’, per una questione di localismi, orgoglio territoriale trasversale, interessi incrociati.
In una provincia in piena decadenza poi, a cui non hai neppure concesso l’onore di un posto in giunta (non che sia determinante: ma è comunque la prima volta che succede dal 1970, quando le Regioni furono create), non puoi permetterti di liquidare grandi progetti (per quanto in costante ‘rosso’ sin qui, nella mediocrità della gestione pubblica/partitica) con tono sprezzante, e tramite stampa.
C’è un consiglio regionale, ci sono apposite commissioni, ed è lì che devi giocare la tua partita.
Rimane, comunque, il problema di fondo, che è quello della coperta corta. La Regione Piemonte (come molte altre, si intende) è un carrozzone elefantiaco, pieno di debiti e di progetti che fanno acqua da tutte le parti, e perdono soldi. La sfida di Chiamparino (come quella del sindaco di Alessandria del resto, come quella di Renzi) è riuscire ad eliminare un mare di acqua sporca, salvando però la, anzi le, creature. Peraltro in un contesto in cui l’economia privata reale (al di là delle chiacchiere e delle statistiche ‘su misura’) tutto attorno sta franando. Mission impossible?