E’ una decisione ingiusta e sbagliata

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Chi frequenta queste pagine sa che io ho guardato spesso a Renzi e al suo governo con apprezzamento e simpatia. Finalmente, uno che diceva come stavano le cose, che prendeva di petto i problemi, che prometteva di non guardare in faccia nessuno. Giusto quello che serviva, a mio parere, per rimediare a un dissesto economico e a un disfacimento morale che in vent’anni ci ha relegato nel buco nero in cui ci troviamo.

A maggior ragione, dunque, sento stavolta di dover alzare la voce per dire forte e chiaro che la decisione di bloccare il rinnovo dei contratti agli statali, ancora una volta, per tutto il 2015, è sbagliata e ingiusta. Non sono particolarmente sensibile alle reazioni dei sindacati, e neppure a quelle delle opposizioni di sinistra, dentro o fuori la maggioranza che siano. Da un pezzo ho smesso di considerare ciò che dicono soggetti politici e rappresentanze sociali che hanno la loro brava parte di responsabilità per lo sfacelo in cui stiamo. Sono, invece, sfavorevolmente colpito da ciò che hanno detto i Ministri e il Presidente del Consiglio. Trovo le loro affermazioni ancora più ingiuste e sbagliate del provvedimento che hanno preso.

Prendiamo, ad esempio la questione degli 80 euro. Quando Renzi ha fatto quella promessa, e poi l’ha mantenuta, io ho apprezzato il senso di quel primo passo verso un’eguaglianza redistributiva che in vent’anni nessuno aveva mai cercato di praticare, in un Paese dove il 10% dei cittadini possiede più della metà della ricchezza nazionale. Avrei preferito che quei quattrini andassero agli incapienti, ma ho compreso la logica di metterli nella busta paga di quella fascia sociale debole che, comunque, una busta paga l’aveva e magari avrebbe potuto dare una scossa ai consumi interni.

Non è andata così, anche per una serie di condizionamenti esterni che conosciamo tutti eGoverno: Camera, al via dibattito su fiducia nei quali non possiamo addentrarci qui. Ma quella degli 80 euro era una misura di emergenza e, come tale, mi aspettavo che venisse superata e ricompresa in una logica fisiologica del sistema di contrattazione. Attendevo che il Governo dicesse: dal 2015, cercheremo di assicurare il bonus – o, meglio, un reddito di cittadinanza – a chi reddito non ha. Per gli altri lavoratori, pubblici e privati, varrà la ripresa della contrattazione.

Invece no. Mentre il Governo lancia il progetto dei “mille giorni”, mentre la Presidenza del Consiglio mette in rete il “passodopopasso”, mentre si sta discutendo della riforma della scuola e della pubblica amministrazione, il ministro Madia, con un tempismo degno di miglior fortuna, annuncia candidamente che gli statali si possono sognare il contratto di lavoro nel 2015. Dopo cinque anni, a partire dal 2010, di buio completo.

Potete immaginare come un annuncio di questo genere sia stato accolto nel Paese. L‘opinione pubblica non toccata dal provvedimento ne ha tratto la convinzione che anche l’ultima speranza, alla quale si era tenacemente aggrappata, stava morendo. Gli statali hanno reagito come chi si sente turlupinato e tradito nelle attese. Il malumore di ieri si avvia a diventare protesta domani e sciopero dopodomani. Proprio quello che non ci voleva.

Le reazioni della maggioranza e del Governo, a partire dallo stesso Renzi, sono state deprecabili e non certo all’altezza della situazione. Che vuol dire “gli statali un posto almeno ce l’hanno, mentre noi dobbiamo guardare agli altri sfortunati”? Quando uno ha un posto da poco più di mille euro al mese, si sente border line. E tu ci vuoi fare conto per una riforma che ridia efficienza alla Pubblica Amministrazione? Due dita negl’occhi ti prendi, altro che riforma. E se ti va bene.
Che vuol dire “i soldi non ci sono e noi vogliamo abbassare le tasse, non alzarle ancora”? E quell’inizio di giustizia redistributiva, dov’è andato a finire, se con una mano mi passi 80 euro e con l’altra te li riprendi indietro? L’ho già detto altre volte: alzare le tasse a chi ha molto per dare a chi ha poco, non è un’operazione iniqua. Si chiama giustizia sociale, anche se in Italia molti preferiscono chiamarla esproprio o rapina. Guarda caso, spesso, proprio quelli che finora hanno sottratto, evaso, rapinato la Nazione.

Ma, soprattutto, che vuol dire signor Presidente del Consiglio con la sua affermazione che sentirà le rappresentanze delle forza di polizia, ma non cederà ai ricatti? E’ un’espressione un po’ forte, che può anche essere usata nei confronti di quelle che Lei chiama “corporazioni”, ma non ha senso attribuire a una normale dialettica democratica. Essa trova la sua più profonda ragione d’essere quando un segmento sociale, un servizio, un insieme di lavoratori, ricorre alla protesta per quella che ritiene una lesione grave ai propri diritti fondamentali.

Mi auguro, dunque, che ci ripensi. Lei è l’ultima speranza che ci resta. Non la faccia naufragare.