La Sanità ai tempi della crisi

Garavelli Pietrodi Pietro Luigi Garavelli*

La Sanità è un fattore rilevante per lo sviluppo economico ed una componente essenziale per il benessere sociale di un Paese. In Italia è la prima voce di spesa delle Regioni, pesando tra il 60 ed il 70% dei bilanci regionali, è il secondo datore di lavoro nell’impiego pubblico con circa 700.000 lavoratori, ed è il primo volano dell’economia se si considera la spesa complessiva per la Salute, oltre il 9% del Prodotto Interno Lordo (PIL), e l’indotto collegato come l’industria farmaceutica, i servizi di supporto, la costruzione di infrastrutture.

Purtroppo il Servizio sanitario nazionale (SSN) sta attraversando un momento molto difficile, in quanto la sua sostenibilità è ormai messa in dubbio in relazione alla crisi che ha colpito in larga parte i paesi industrializzali. In sostanza il decremento del PIL rende difficoltoso l’attuale finanziamento pubblico della Sanità italiana, in una dinamica crescente di spesa per il progresso tecnologico, l’ invecchiamento della popolazione e l’ aumento delle cronicità.

Così nel “Patto della Salute 2014-2016” sono previsti anche i nuovi “Standard Ospedalieri“. Da alcuni anni si scrive della riorganizzazione della Rete Ospedaliera Nazionale. Orbene anche in questo Documento, come in passato, sono riportati “gli standard minimi e massimi di struttura per singola disciplina”, in base ai quali si stabiliscono ad esempio le necessità dei Reparti Ospedalieri Degenziali in conformità a “bacini di utenza”, generalmente estremamente variabili, legati prevalentemente alla “numerosità” della popolazione. In funzione di questo dato si individua anche se un determinato territorio sia in grado di sostenere o meno la presenza di un’Azienda Ospedaliera e di Presidi di ASL.

Questo “parametro” non è sufficiente da solo.
Ovvia considerazione, a tutti comprensibile, è che in Italia, amplissime sono le differenze territoriali in termini di caratteristiche demografiche ed epidemiologiche degli abitanti, conformazionali ed infrastrutturali dei luoghi e presenza di Presidi Ospedalieri e loro integrazione con le Strutture “lungodegenziali”.
Questo documento cerca di rimodulare il sistema di offerta dei servizi sanitari, in questo caso ospedalieri, stante il rischio di una futura riduzione del finanziamento nazionale con potenziale diminuzione, i cosiddetti “sacrifici”, dei fondi assegnati, cercando di mantenere almeno in parte gli attuali livelli assistenziali.

In sostanza, in seguito ad una potenziale riallocazione delle risorse quali saranno le priorità? Quali i ruoli ed i settori di pertinenza e la partizione fra Pubblico e Privato, accreditato o meno?
Quali le aree di intervento in base ai settori di attività – prevenzione, trattamento ospedaliero, cure intermedie, assistenza territoriale – agli investimenti – adeguamento delle strutture esistenti, loro sostituzione con altre più moderne e “concentrate”, alte tecnologie – ed alla gestione dei professionisti nel sistema pubblico – semplicemente qualità e quantità del capitale umano.

Persistendo o meno il Piano di Rientro in alcune Regioni come orientare la riallocazione delle strutture con la possibile chiusura di servizi od interi presidi all’interno delle aziende e la riorganizzazione di queste dentro alle aree funzionali sovrazonali più estese, come già in Toscana ed in Emilia-Romagna?

In caso di riduzione dell’offerta pubblica di letti per acuzie od altri quale strategia attuare, stante il “rischio” di indirizzare in altre Nazioni dell’Unione Europea la domanda di salute, aumentando così il debito nazionale?

Infine un’ultima riflessione.
Il progressivo impoverimento del Paese rende praticamente impossibile a larghe fasce della popolazione, soprattutto gli anziani, che ne hanno più bisogno, utilizzare altre forme di copertura assistenziale, come l’assicurativa o il pagamento diretto, o modelli, la Sanità “low cost”, se non fruire sempre dell’unica possibile cioè la pubblica, di fatto gratuita e generalista.

Non so quanto queste ovvie considerazioni siano note ai nostri concittadini. Tuttavia penso che la Sanità è di tutti e che nessuno deve arrogarsi la ricetta per riorganizzarla senza preventivamente conoscere l’opinione degli italiani, dai malati fino ai volontari. Prima o poi essi vorranno vedere chiaro sul bene più prezioso che hanno, la salute appunto, e quindi non penso siano più disposti a consegnare deleghe in bianco a chicchessia, pena di ritrovarci come in Grecia ove l’aspettativa di vita si è ridotta, non ci si cura più per i tumori e sono ricomparse la malaria e la tubercolosi.

*Medico e sindacalista