Lo avevamo già notato, in questi mesi, da assidui frequentatori dei bar alessandrini, del centro e non. E nei giorni scorsi diversi articoli di giornale sui locali di ieri e di oggi ce l’hanno confermato: la ristorazione mandrogna, a cominciare appunto da bar tra i più qualificati e prestigiosi, sta cambiando (in buona parte ha già cambiato) pelle, in senso letterale. Nel senso che sono sempre più numerosi gli stranieri, e i cinesi in particolare, che scelgono di investire in questo settore, per contro ormai dismesso dai gestori mandrogni.
Niente di male, in realtà: solo il segno di un’internazionalizzazione dell’economia (e della società) che arriva pian piano anche nelle nostre periferie (a Milano i bar gestiti dai cinesi sono ormai un numero straordinariamente elevato), e che è non solo un segno dei tempi, ma può anche diventare, o almeno auguriamocelo, un’iniezione di nuovo dinamismo commerciale, e di sguardo proiettato verso il futuro.
Sarebbe interessante, peraltro, sapere chi sono questi nuovi imprenditori: in particolare se si tratta di singoli individui o nuclei famigliari, magari già da un pò radicati in Italia, oppure di operazioni stile multinazionale, con acquisto di ‘stock’ di attività al capolinea, per costruire una rete (ragnatela pare brutto) di punti vendita/ristoro collegati tra loro, e destinati a ‘fare’ il mercato, dettandone le regole.
E chi lavorerà, in prospettiva, in questi locali, dopo la fase di avviamento delle nuove gestioni? Solo stranieri, o anche italiani, e alessandrini nella fattispecie? A quali condizioni contrattuali?
Inutile essere ipocriti: nel nostro immaginario cinese equivale spesso (certamente in questo siamo vittime di stereotipi, ma anche di realtà tante volte constatate) a lavoro nero, o ampiamente sottopagato: in ogni caso pre, o post, contrattazione collettiva. Non è detto che sia, o debba sempre essere così, ma sarebbe senz’altro opportuno che chi di competenza vigilasse con attenzione.
Poi c’è, naturalmente, l’aspetto legato alla qualità del servizio, ma anche a certe tradizioni, a certi aromi o prodotti. E lì, ahinoi, siamo piuttosto rassegnati. Personalmente abituati a frequentare, apprezzandoli, i ristoranti cinesi del territorio da una ventina d’anni (uno, in particolare, perchè siamo abitudinari), abbiamo sempre avuto però il vezzo, all’offerta del caffè, di rispondere sorridendo ‘no, grazie’, per poi prenderlo al primo bar raggiungibile, perchè i cinesi sono bravi cuochi, ‘ma il caffè di fine pasto deve essere italiano’. Facile immaginare che ci toccherà presto modificare le nostre abitudini, obtorto collo. Magari scoprendo di essere soltanto prevenuti, o superati: e che ormai il caffè con gli occhi a mandorla offre aromi e sapori assolutamente apprezzabili e stimolanti. O almeno speriamo che sia così!