Giorno per giorno mi accorgo sempre più concretamente che il passar del tempo mi rende più polemico e sempre meno incline ad essere tollerante verso ciò che mi infastidisce. Forse questo non è buon segno. Significa una sola cosa… beh… lasciamo perdere.
Naturalmente questo fastidio lo provo per argomenti che riguardano soprattutto ed in particolare la nostra Città col suo patrimonio di strade, palazzi e manufatti creati per gli usi più disparati.
Ed ora ecco di quale argomento voglio disquisire oggi.
Tra le antiche cartoline della mia raccolta ce n’è una in particolare che mi ha subito incuriosito, fin dal primo momento del ritrovamento.
Si tratta di una cartolina che raffigura la Fontana dei Giardini, detta anche la Fontana della Stazione essendo ubicata proprio davanti alla Stazione Ferroviaria. In realtà quest’opera dovrebbe essere chiamata con il nome con cui venne battezzata: La Fontana dell’Impero.
Il pezzo che ora analizzeremo non è però una vera cartolina, anche se a prima vista ne ha le sembianze.
Ora vi spiego il motivo di quanto appena accennato e di che cosa si tratti in realtà.
Questa è una bozza fotografica. Quindi – a tutti gli effetti – è una fotografia.
L’immagine è stampata su carta sensibile – fotografica appunto – e le sue dimensioni, contrariamente a quelle delle cartoline in uso a quel tempo, sono leggermente superiori. Centimetri 10,5 x 15,5 anziché il classico formato 9 x 14 in voga già dalla fine dell’Ottocento.
Ritengo sia giusto a questo punto aprire una parentesi per spiegare che proprio questo è il periodo in cui le tipografie hanno incominciato a produrre cartoline di centimetri 10 x 15 (circa), denominato Formato Imperiale. Per un gran tempo ancora – però – gli stampatori hanno continuato a crearne nelle dimensioni classiche e quindi le due differenti tipologie si sono affiancate almeno fino agli anni ’50, periodo in cui la cartolina imperiale prese il sopravvento.
I committenti di cartoline richiedevano alle Case produttrici diversi soggetti di vedute cittadine, di solito a scelta di chi comandava il lavoro o – molto raramente – affidando la scelta dei soggetti da immortalare direttamente alle Case produttrici o ai fotografi.
Poi il committente, (tabaccheria, cartoleria, rivendita di giornali o libreria) prima di restituire le Bozze fotografiche, decideva quali e quanti soggetti fare stampare dalla Casa Editrice; in questa fase, prima del via libera alla stampa, insieme alle spiegazioni e alla didascalia da apporre, molto spesso venivano specificati (annotandoli sul verso della bozza) anche i particolari indesiderati, da fare sparire con un successivo lavoro di ritocco fatto esclusivamente a mano.
Un giorno parlerò delle cartoline ritoccate e delle motivazioni della richiesta di questo lavoro supplementare.
Tornando ad osservare il nostro soggetto notiamo che dalla parte del verso, cioè sul retro dell’immagine, sono presenti diverse scritte a mano e altre apposte con timbro. Si legge innanzitutto il nome della nostra città. L’annotazione doveva distinguere questo soggetto dai molti, di altre località, in lavorazione.
Importantissimo era anche il numero d’ordine dell’Archivio Fotografico al quale poi fare riferimento per richiederne la stampa, il colore[1] ed il numero delle copie desiderate. Era una sorta di nome di battesimo del soggetto fotografico.
In questa bozza campeggia in bella vista anche il timbro del numero che specifica l’anno in cui il lavoro è stato fatto. Siamo nel 1939.
Il timbro più ricco di dati è quello – apposto in basso – che recita così: Archivio fotografico N. 66365 (numero aggiunto a penna) / proprietà artistica fotografica della ditta / DALLE NOGARE & ARMETTI – MILANO / riproduzione vietata a sensi del D. L. 7 – XI – 1925 – III N. 1950.
L’unica annotazione la voglio fare per dire che la ditta Dalle Nogare & Armetti di Milano in quegli anni è stata una delle Case specializzate in cartoline fra le più attive e prolifiche.
Ed ora occupiamoci della Fontana.
Creata per celebrare l’Impero italiano – costituito nel 1936 – la fontana era già perfettamente funzionante nel 1939, come dimostra questa immagine.
La sua forma è semplice e lineare, come lo sono la maggior parte delle Opere del Regime Fascista.
La vasca in pietra ha un perimetro a forma di esagono schiacciato a due lati opposti ed un’altezza da terra di circa un metro.
Una fascia con scritta scolpita circonda interamente la fontana e recita: Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi.
Nella parte centrale della vasca, a breve distanza l’una dall’altra, si ergono sei colonne – sempre in pietra – rappresentanti altrettanti fasci littori, con tanto di scure che fuoriesce dalle verghe di ogni fascio.
Appoggiata e sorretta dalle colonne/fasci, una sorta di piattaforma ellittica lascia spandere l’acqua che sgorga da quattro bocche in bronzo emergenti da un cilindro di pietra posto sopra.
Infine, sulla sommità del manufatto, completano l’insieme tre aquile bronzee con le ali aperte a guardia e a difesa dell’Impero.
Purtroppo la fontana non è giunta a noi nelle forme originarie e le differenze si possono osservare da un confronto con questa immagine.
Come spesso accade nel corso della storia, a farne le spese sono le opere dell’uomo con il loro carico di simboli.
Personalmente – nel caso della nostra Fontana ma anche in molti altri casi – ritengo ridicola la decisione di scalpellare la fascia con il motto, di asportare le aquile e di asportare le scuri dai fasci littori… I fasci no!, quelli non si potevano levare… dovevano restare per continuare a reggere la parte superiore del manufatto ex-fascista.
Quindi l’imperativo di chi ha deciso le trasformazioni è stato di certo questo: Leviamo i simboli ma teniamo ancora la fontana (che tutto sommato non è malaccio)!
In Italia, non dimentichiamolo, esistono migliaia di Opere del Regime, e l’Italia repubblicana, ancor oggi, tutte queste costruzioni le usa, se ne serve… ne ha assoluta necessità.
La storia, giudicata giusta o sbagliata, non può venir cancellata sopprimendo i simboli, così come ha fatto Alessandria con la sua Fontana ma anche con lo Stadio del Littorio, con il Palazzo della GIL, con la Stazione ferroviaria, con la Casa della Madre e del Fanciullo[2] e con altre opere che non è ora il caso di continuare ad elencare.
Questa corsa alla cancellazione dei Simboli mi ricorda molto l’epoca di un faraone eretico dell’Antico Egitto. Il suo successore, appena insediatosi, ha fatto rimuovere da ogni munumento il cartiglio col nome del cosiddetto eretico…
L’Italia moderna e repubblicana si serve ancora di Palazzi di Giustizia, Stadî, Scuole, Stazioni ferroviarie, Uffici Postali, sedi di vari Uffici, di Enti (INPS, INPDAP, INAIL, ecc.) e di… Fontane.
La nostra repubblica non sarebbe in grado di eguagliare la prolificità costruttiva del Regime… (e forse questo non è un male, visto l’accanimento col quale i politici e gli intrallazzoni da cui siamo governati rubano a man bassa).
L’Italia di oggi, con la sua classe politica di incapaci, disonesti e corrotti (se ne salvano pochi) dimostra non essere neppure in grado di porre attenzione all’agibilità di tali strutture e spesso non è neppure materialmente capace di dare – anche solo saltuariamente – una semplice imbiancata.
Scusate signori, forse mi sono dilungato troppo in chiacchiere ma credo di essere riuscito a raccontare un pizzico di storia, oltre ai miei punti di vista e oltre alle vicende di questa Fontana in cartolina.
_____________________________________
[1] Fino verso la fine degli anni ’50 e qualche anno ancora le cartoline erano monocromatiche o, qualche volta, venivano colorate con sistemi tipografici, essendo sempre usate per le riprese pellicole in bianco e nero. Di solito oltre al classico bianco e nero venivano anche usate colorazioni monocrome sul seppia, verdolino, azzurrino o tendenti al grigio. Sovente si trovano cartoline con lo stesso soggetto e con le diverse varianti di colore.
[2] Sull’edificio Casa della Madre e del Fanciullo costruito per decisione dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI), ho parecchie cose da dire e ne parlerò in una delle prossime rubriche.
L’arresto di un satiro. – Ai pubblici giardini, lunedì sera, verso le ore 18 avvenne un grave fatto. Certo Rivera Carlo fu Pasquale d’anni 24, facchino addetto alla stazione ferroviaria, visto due bambine che erano entrate nei cessi pubblici, prospicienti alla stazione, entrò pur esso e afferratele entrambe le malmenò. Una di esse riuscì a sfuggire alle ire del Rivera, ma l’altra, la decenne Negrone Nina, venne seviziata.
Del triste fatto fu avvertita la Questura e più tardi l’avv. Galeazzi capo dell’ufficio di P.S. alla stazione, unitamente ad alcuni agenti, riuscì a trarre in arresto il satiro.
La Lega Liberale – Periodico politico amministrativo della Provincia di Alessandria – Anno XXVI – Numero 25 – Alessandria, Sabato 13 Maggio 1911.