«Non entriamo nella vita privata dei coniugi che deve rimanere tale nel momento in cui non ha rilevanza ai fini dell’inchiesta»
Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti, avvocati della famiglia Bossetti
Parliamone. C’è bisogno di capire fino a dove è lecito indagare su Marita Comi e Massimo Giuseppe Bossetti, due coniugi non più tanto qualsiasi della torbida provincia italiana.
Lui, Massimo, è in carcere con l’accusa, pesantissima, di aver lasciato morire Yara Gambirasio dopo una violenza, tentata o perpetrata. Non solo: è “grazie” all’inchiesta che scopre di essere figlio naturale di un uomo diverso da quello che ha sempre chiamato papà.
Lei, Marita, donna avvenente e dallo sguardo intenso, negli interrogatori avvenuti dopo l’arresto del marito si contraddice su questioni apparentemente di poco conto. Che però insospettiscono gli investigatori, sempre più convinti (a quel che trapela dagli atti giudiziari, ossia tantissimo) che il movente dell’assassinio della povera Yara possa essere rintracciato nel rapporto, anche intimo, tra i due coniugi.
Ed ecco che in questi giorni, non si sa come, dal mazzo spuntano due amanti (ex?) della signora Bossetti. I giornali, anche i più seriosi, non si lasciano scappare l’occasione e raccontano, alludono, sentenziano. I lettori, anche i più avveduti, leggono senza fiatare. L’argomento, come un buon libro giallo, intriga e avvince.
Poco importa se la vita privata di due persone viene spiattellata in pubblico. Due persone che, per la legge, ancora non sono colpevoli di alcunché. Una di loro, il marito ora anche presunto cornuto, potrebbe ipoteticamente non essere l’assassino di Yara, malgrado la prova del Dna. Ma a noi poco importa. A noi importa sapere quanto ce l’aveva lungo il Bossetti, o come prendeva la moglie: da sopra o da sotto, davanti o di dietro… e chissà se era il solo!
Questo sputtanamento mediatico non può essere chiamato giustizia. Lo si chiami con il suo nome: vivisezione umana.