Odio razziale, pregiudizio, sintomo di un tessuto sociale ancora teso, anche nel Paese, gli Stati Uniti d’America, che si erge a paladino ed esempio dell’integrazione. La cittadina di Ferguson, sobborgo di St. Louis, in Missouri, è da oltre una settimana centro focale di scontri tra dimostranti e polizia in seguito all’assassinio del diciottenne Michael Brown. Pelle nera, disarmato, accusato (ma solo alcuni giorni dopo l’omicidio, in seguito alla diffusione di un video) di essere responsabile di un furto di sigari in uno store del posto. Ucciso a sangue freddo da un poliziotto che nulla sapeva della vicenda, ma lo avrebbe fermato assieme a un amico perché “ostacolava il traffico”.
Indignata dall’omicidio la popolazione è scesa in strada, giorno dopo giorno, facendo sentire la propria rabbia contro la discriminazione e il pregiudizio. Manifestazioni a cui ha preso parte anche il reverendo Jesse Jackson, ma che a tratti si sono trasformate in scontri violenti con la polizia, con feriti e arresti. Il governatore del Missouri, Jay Nixon, è arrivato a dichiarare lo stato di emergenza e il coprifuoco, come nei peggiori territori di guerra.
Situazione che ha il sapore degli anni caldi del vecchio millennio, quando la battaglia per il riconoscimento dei diritti era questione quotidiana. A partire dal gesto simbolo di Rosa Parks, che nel 1955 rifiutò di cedere il proprio posto su un autobus a un bianco, come previsto dalle norme cittadine di Montgomery, in Alabama. Per proseguire con le marce per la libertà e l’I have a dream di Martin Luther King.
Per cercare di arginare i disordini e le risposte violente della polizia, il governatore Nixon ha sottratto la gestione della sicurezza di Ferguson alla polizia locale, affidandola alla polizia stradale del Missouri. Ma la tensione non è calata. Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente Barack Obama, che si è scagliato contro la violenza eccessiva e sconsiderata delle forze di sicurezza. La sua voce si era fatta sentire anche due anni fa, dopo l’omicidio di Trayvon Martin, altro giovane disarmato, “colpevole” solo del proprio colore di pelle. Un caso amaro, tremendamente, ancor più per l’esito giudiziario: il suo assassino, la guardia George Zimmerman, è stato assolto per legittima difesa in base a una discutibile legge in vigore nello stato della Florida.
Le parole di Obama sono state contestate anche questa volta. Soprattutto dall’ala conservatrice del partito repubblicano. E così la sua condanna si è trasformata ancora una volta in un tentativo di conciliazione. Sterile se rimarrà solo un appello.
Alla situazione già di per sé difficile si aggiunge l’assurdità di alcuni episodi, come l’appello lanciato da una frangia ancor attiva del Ku Klux Klan a raccogliere denaro per la difesa del poliziotto responsabile dell’omicidio. Il nome dell’uomo, Darren Wilson, è stato diffuso solo alcuni giorni dopo i fatti, con reticenza da parte della polizia.
La notizia di questa vicenda è la morte di un giovane inerme (ricordiamolo: del furto di cui è stato poi accusato, se mai potesse essere una giustificazione, il poliziotto nulla sapeva al momento dello sparo). La notizia è la tensione sociale che un episodio, per quanto gravissimo, è in grado di scatenare nel paese dove troppe sono ancora le differenze sociali e dove il ricorso alle armi da fuoco risulta sempre eccessivo. Ancor più difficile da digerire è l’ultima statistica diffusa dall’Fbi: nell’ultimo periodo, ogni anno circa 400 persone sono state uccise dalla polizia locale sul suolo statunitense. Circa un quarto dei casi coinvolge un poliziotto bianco e una vittima afro-americana.