A bocce con la Contessa [Il Flessibile]

caruso_copertinadi Dario Caruso.

Dagli anni Sessanta ai Novanta, le famiglie liguri di estrazione semplice erano solite far passare le estati ai propri figli nelle vicine valli del Cuneese.
I miei genitori affittavano un appartamentino a Serra Pamparato, io e mia sorella passavamo tre mesi pieni in compagnia dei nonni.
Si viveva così, senza scossoni in un’atmosfera bucolica ed essenziale, bicicletta, pane burro e zucchero, telefono a gettoni.
Si andava avanti per cento giorni, poi si ritornava a Savona che voleva dire riprendere la scuola dopo una settimana.

contessaNel primo pomeriggio, quando il sole scaldava con decisione, andavo al campo da bocce, l’unico del paese, male in arnese e poco frequentato.
Vicino al campo un castagno, sotto le fronde giganti una panchina.
Una signora, distinta e ben vestita, sulla settantina (credo) stava seduta lì al fresco, leggendo nel silenzio.
Si diceva che fosse la Contessa di Castiglione, certo non quella che fece la storia della famiglia Savoia, ma una discendente che aveva conservato il titolo nobiliare; in effetti i modi erano garbati, spontanei ed eleganti, sicuramente nobili, nonostante l’eta’ si evinceva la bellezza ora nascosta nelle rughe del volto e sotto la folta capigliatura bianca.
I vestiti poi erano lunghi ed ampi, adatti alle sale del Castello di Valcasotto allora ancora dignitosamente conservato.

“Facciamo una partita?”
Le poche anime deambulanti a quell’ora bollente del meriggio si radunavano intorno a lei per un piccolo torneo di bocce che ci occupava per un paio d’ore, fino alla merenda.
La Contessa – la chiamavamo timidamente in quel modo – ci elargiva informazioni di letteratura, musica e arte.
Per noi piccoli voleva dire conoscere senza rendercene conto. Oltre alle tecniche di accosto e di bocciata imparavamo i grandi nomi della cultura.
E le eravamo grati.

Non so se era davvero ciò che si diceva che fosse.
In questi giorni sono ritornato su quel campo, accompagnando mio padre a Serra per qualche giorno di vacanza.
Oggi le erbacce hanno avuto la meglio sul campo da gioco e i tronchi che delimitavano il rettangolo sono in parte scomparsi. Il castagno è però sempre in gran spolvero e la panchina è sbrecciata ma utilizzabile.
Dopo quarant’anni rivedo la Contessa seduta su quella panchina.

“Facciamo una partita?”
Non so se è davvero ciò che si dice che sia.
Io credo proprio di sì.