Meglio quando piove. A patto che l’eterna incoscienza dell’uomo non ponga ostacoli al naturale scorrere dell’acqua costruendo dove non deve, e magari tenendo puliti gli scoli, evitando di sradicare alberi, di non cementificare le rive e provando a rispettarsi un po’, come non sembra accadere spesso in questo nostro paese dove non pare esistere una collettività capace di amarsi troppo.
La pioggia lucida il mondo come uno specchio, e rende tutto simile a un paio di scarpe nere da cerimonia. Ci monda dai peccati. Ci nutre. Certo non ci permette di starcene in spiaggia. Magari ci rovina le ferie. E di questo ci dispiace. Anzi ci fa incazzare. Ma la pioggia nasconde. Ci nasconde agli occhi del prossimo. Frena il pettegolezzo e le chiacchiere inutili. Con la pioggia si va di fretta. Si sta attenti a dove mettere i piedi, senza preoccuparci di quel che ci gira intorno. Si potrebbe quasi danzare sotto la pioggia che nessuno ci farebbe caso, pisciare in piedi e nessuno griderebbe allo scandalo. L’acqua pulisce. Anche le coscienze.
Tutto scorre via.
La pioggia non ha una linea di confine. Quando piove gli angoli sono più protetti, gli ombrelli tagliano la visuale, le auto diventano gabbie impenetrabili. Ma soprattutto le facce perdono consistenza. E le teste se ne stanno chine. Si resta malinconicamente avvitati nei propri pensieri. E non si corre il rischio di pensare a quel che succede nel mondo magari neanche troppo distante da noi, al massacro dei bimbi in Palestina, alla Libia in fiamme, ad una Siria dove gli oppressi non sono meglio degli oppressori, agli atroci rigurgiti nazisti in Ucraina ai danni dei filorussi e di cui nessuno parla, complici USA e una incosciente Unione Europea incapace di leggere la storia che si ripete. Come pure la sempre maggior radicalizzazione dell’estremismo islamico in nome di una teocrazia che ci riporta ai momenti più retrivi del passato. E la minaccia Ebola. Una nuova pandemia oppure un bidone tipo aviaria servito solo a svuotare i magazzini delle multinazionali farmaceutiche ai danni di tante casse statali?
Ma non esiste la pioggia eterna. E torna il sole, per fortuna. Ad allietare i cuori, a cancellare la malinconia. A regalarci l’emozione della poesia. Le teste si sollevano, ci si guarda attorno, si passeggia. Si vede. Si scruta. Si respira a pieni polmoni l’aria della propria città.
Meglio quando piove. Se l’alternativa è un sole morbido che uccide ogni alibi. Brilla sulle brutture di una, la nostra, città. Che pare devastata. Strade malmesse, sporche, spazi verdi indecenti e infrequentabili, giardini pubblici occupati da bande di predoni, solo uomini, panze prominenti e sguardi torvi in mezzo ad aiuole desertificate, così come si sono inariditi i ricordi di quel che un tempo erano questi stessi luoghi.
Napalm, mormora qualcuno a denti stretti come unica soluzione per risollevare le sorti della città. Ma il suo stesso perbenismo culturale non gli permetterà di arrivare ad una soluzione così drastica. Fin quando almeno avrà ancora un barlume di cultura a sorreggerlo.
Almeno fino a quando le bellezze storiche e architettoniche della nostra città non si saranno sbriciolate del tutto a colpi di incuria e indifferenza. Se c’è il sole si può andare altrove a gustarsi un evento culturale, di quelli che fanno parlare le pagine di qualche giornale nazionale. E se con il sole ci si allontana dalla città perché perdere tempo con qualche banale intrattenimento estivo? Magari a costo zero, panacea per un comune spremuto dall’ingordigia politica, perché sono mille e più i volontari di questo settore che brulicano in città.
Meglio quando piove. Gli orizzonti si restringono e forse si soffre di meno.