Colui che ama particolarmente una città ha tanti ricordi e li rivive in una maniera personale anche attraverso i racconti e le rimembranze di altri concittadini, magari più anziani.
I ricordi e l’amore per Alessandria li vivo in maniera passionale, quasi maniacale, a costo di diventar cattivo verso coloro che in qualunque modo ed a qualsiasi titolo la calpestano, la deridono, la maltrattano… e la demoliscono… soprattutto fisicamente.
Molti mi accusano di non aver qui le radici – ed in questo hanno ragione – (… e quindi – forse pensano – come può un figlio di calabresi essere affezionato in questa misura ad una città che non gli appartiene?).
Ragazzi! Questa bella città mi appartiene! Eccome se mi appartiene!
Appartiene a me molto più che ad altri (politicanti da strapazzo), che da essa hanno solo tratto profitto, l’hanno sfruttata per le loro squallide speculazioni personali e di partito.
I miei avi – è vero – erano calabresi da generazioni… e certamente nelle loro vene scorreva sangue greco, normanno, e chissà di quali altri popoli. Forse a causa di queste mie origini sudiste anche il mio amore, l’odio (per qualcuno) e l’attaccamento a questa città sono in me così radicati ed intensi; sono così forti che riescono a superare i sentimenti di alessandrinità che alberga in qualcuno, nativo mandrogno da più generazioni.
Se si uniscono questi motivi al fatto che io sia anche un collezionista di cartoline il quadro è chiaro e completo.
Le cartoline antiche – infatti – regalano mille finestre sul passato, sulle nostre strade, sui nostri negozi, sulla nostra gente di un tempo. E le mille finestre ci fanno vedere una città migliore, più interessante architettonicamente, più gradevole e vivibile sotto ogni punto di vista.
L’osservazione di antiche immagini, messe a confronto con la realtà che attualmente ci circonda, riesce a portare all’indignazione chi le guarda.
Ci si indigna contro quella classe politica, anzi, quelle classi politiche, le quali non hanno saputo (e voluto) difendere, tutelare e proteggere la città ma ne hanno sacrificato interi rioni, demolito palazzi di gran pregio, trasformato strade, palazzi e chiese nel finto intento di stare al passo coi tempi e donare ad essa modernità e migliorie. Ne hanno approfittato invece incessantemente e senza nessuno scrupolo per scopi infimi e personali!
Antichi amministratori (la a minuscola è d’obbligo) ignoranti ed ingordi e molti altri meno remoti – scaltri e mille volte più voraci di quelli del passato – si sono avvicendati nell’approfittare di ogni occasione per far i loro interessi alle spalle della storia, dell’architettura e del bello che questa città possedeva. (I conti bancari di qualche loro parente saprebbero raccontare molte cose…).
Grazie alla cartolina che oggi pubblichiamo si può vedere una Piazzetta della Lega Lombarda ancora a misura d’uomo, dove il Salotto della Città dimostra possedere ancora le caratteristiche di una sana vivibilità.
Queste peculiarità non sono sentimenti personali dettati dal viscerale amore, non sono sensazioni più o meno condivisibili. La bellezza del nostro passato è più che evidente a chiunque.
Mi può smentire chi non la pensasse come me.
Che cosa è una città senza luoghi dove poter stare insieme per parlare, per gustare le cose buone di bar e gelaterie e per godere la vista del passeggio della gente e (soprattutto) delle belle fanciulle, stando comodamente seduti in un dehor?
In questa immagine è raffigurato l’ultimo atto di una commedia ormai alla fine.
La nostra Piazzetta ha ancora la giusta forma e tutte le caratteristiche di piacevolezza appena accennate poco sopra. Si possono osservare con nitidezza i marciapiedi di granito che ne disegnavano esattamente la forma triangolare ed il porfido che pavimentava sia la Piazzetta (il Triangolo vero e proprio) sia le strade attorno.
L’obelisco, seppur già privato delle colonnette e delle catene di rispetto è ancora integro e con tutti i fregi bronzei a posto.
Ogni spazio all’interno del Mitico Triangolo nostrano è occupato dalle sedie in vimini e dai tavolini, graziosamente ombreggiati da opportuni ombrelloni pubblicitari dei Liquori e dell’Aperitivo Masera. Erano i deliziosi Dehor del Bar Moderno e della Gelateria Cercenà.
Si possono notare le lampade che la sera venivano accese, ore nelle quali la vita della Piazzetta continuava a scorrere a pieno ritmo.
Questi sono solo pochi piccoli particolari che la dicono lunga sulla vivibilità di questa sfortunata città.
Siamo negli anni ‘50 e sono ancora lontani i tempi catastrofici dei Monti e delle Fornero, dove (oltre ai distruttori locali) senatori e deputati dimostrano in maniera assoluta di non saper gestire la cosa pubblica e invece sono riusciti a portare la Nazione a questi infimi livelli.
Il lettore (e anche chi scrive) si interrogherà su cosa sia cambiato rispetto a quei tempi; la gente si chiede per qual motivo la vita non possa scorrere oggi nella stessa maniera di quel recente passato.
Sarebbe troppo lungo spiegare qui il mio Pensiero (e la mia Ricetta in proposito)… e certamente non sarebbe il luogo adatto. Di sicuro però l’Italia – così conciata – non potrà durare ancora a lungo.
Tornando alla cartolina ci accorgiamo di un ingombrante mezzo di trasporto pubblico.
È il filobus[1], entrato in funzione per la soppressione della tramvia elettrica a partire dal 1953.
La Piazzetta era ricca di molte attività commerciali, basta guardarsi intorno; si riescono a leggere distintamente le insegne dei negozi Maruelli, Piccone, Cavallero; poi la targa Bosio / Pedicure Callista che sovrasta un portone e – ad un balcone – l’insegna di un anonimo Specialista malattie bocca-denti.
Come dimostra questa cartolina, la pavimentazione era perfetta e ben mantenuta, progettata in maniera logica e fatta di materiali litici facilmente reperibili.
Soltanto un briciolo di buonsenso sarebbe sufficiente per far comprendere che le strade così costruite (con una dolce cunetta nella mezzeria) – seppure non riescano a mangiare lo smog – possano lasciar scorrere le acque reflue senza causare danno ai passanti…
Poniamo ancora lo sguardo sulla cartolina ed osserviamo il palazzo sulla destra.
Rispetto ad anni precedenti ha già subito diverse trasformazioni, ma non è stato ancora orribilmente camuffato dall’oscena piastrellatura che tutt’oggi lo deturpa e lo offende amaramente.
A questa cartolina non manca proprio nulla… conserva anche sulla propria superficie decenni di esposizione al pubblico; ne sono prova le numerose macchioline dovute a cause accidentali e le decine di cacchette di mosche che ne hanno costellato per intero la superficie…
Per ora credo possa bastare, visto che di cose se ne sono già dette molte… forse anche troppe.
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[1] Storia dei trasporti alessandrini di Orazio Messina, Marco Gandini. Lo si trova in diverse bibliotece. Nella civica di Alessandria ha questa collocazione: F.945.14.MES.1.
La vendita del sale – Alcuni nostri lettori abitanti in C. Roma, Via Trotti, ecc. (verso i giardini) ci scrivono lamentandosi che le due tabaccherie di C. Roma sono escluse dalla vendita del sale, per cui debbono recarsi nello spaccio di Piazzetta della Lega e alla domenica, quando quest’ultimo è chiuso, debbono compiere addirittura il… giro di Alessandria per trovare un po’ di sale.
Troviamo la protesta più che giustificata per cui la giriamo all’egregio Intendente di Finanza perché voglia provvedere.
IL PICCOLO (Settimanale di cronaca) – Anno III – N. 39 – Alessandria, 1° Ottobre 1927
Atto munifico – La locale sezione provinciale dell’Associazione nazionale fra mutilati ed invalidi di guerra ringrazia sentitamente il sig. Amar Marco[1], che nell’occasione del trasporto della salma del proprio figlio tenente Cesare dalla fronte in questa città ha voluto elargire a questo sodalizio la somma di L. 50.
Nel portare a conoscenza di tutta la cittadinanza il munifico atto, ringrazia ed ossequia. La presidenza
LA FIAMMA Settimanale Socialista – Organo della « Cesare Battisti » Anno IV – N. 29 – Alessandria, 28 luglio 1922
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[1] Amar Marco era il cappellaio ebreo che aveva negozio in Piazzetta della Lega Lombarda, proprio all’imbocco di via Milano e via Vochieri. L’amico e Poeta Sandro Locardi ne aveva parlato in una gustosissima ed esplicativa poesia in cui ne tratteggiava le doti fisiche e morali. (A meno che non si tratti di un omonimo questo signore dovrebbe essere proprio il cappellaio).