«Non si faccia violenza nel nome di Ciro»
Enzo, zio di Ciro Esposito
Non nascondiamoci. Siamo incazzati per l’eliminazione dal Mondiale della nostra Nazionale di adolescenti viziati e perennemente in calore.
Girano le balle, eccome se girano. Avremmo potuto fare più strada, se ci avessimo messo più voglia e grinta. Ah, se il molle Prandelli avesse portato l’effervescente Pepito Rossi, al posto dell’a(nti)patico Balotelli, e così via. Non parleremo d’altro per tutta l’estate, vedrete.
La notizia della morte di Ciro Esposito, tifoso del Napoli deceduto ieri dopo essere stato ferito da un tifoso (si fa per dire) della Roma, invece ci tocca e non ci tocca.
Eppure, è il coperchio sulla bara del calcio italiano, morto sul campo, dove non abbiamo più giocatori degni della maglia che indossano; morto sugli spalti, dove ormai si ritrovano quasi esclusivamente gli 80.000 ultras schedati dalle questure di tutta Italia; e morto fuori dagli stadi, dove il tifoso avversario è un nemico e va “sparato” prima che cominci la partita. Forse anche noi non stiamo tanto bene, se ci incazziamo di più per l’eliminazione dai Mondiali che per la morte di un ragazzo.
Ah, ancora una cosa. Aspettiamoci tanta violenza, dentro e fuori gli stadi. Pochi daranno ascolto alle parole dello zio di Ciro Esposito: «Non si faccia violenza nel nome di Ciro». Sarà dura, perdonare è difficile. Anche nel nome di Ciro.