Rispetto assoluto per l’ambiente, come per le metodologie tradizionali di lavorazione delle vigne, e delle uve. E un’eleganza naturale che emerge in ogni piccolo dettaglio: dalle soluzioni architettoniche, ai colori delle diverse sale, e della cantina, fino alle etichette dei vini. La professoressa Magda Pedrini è un esempio di innamoramento ‘tardivo’, ma assoluto, per il vino. La sua si direbbe quasi, ascoltandola, una vocazione che la spinge a cercare il meglio, la qualità fino alla perfezione. Un percorso che, nel 2014, è stato premiato in maniera duplice: con il Marengo d’Oro per lo Spumante Brut, e con il Marengo Donna come imprenditrice dell’anno.
Professoressa, la sua azienda (un tempo Tenuta Nuova Cà Da Meo, oggi Azienda Agricola Magda Pedrini) è un piccolo ‘gioiello’ naturale, come una pietra preziosa ‘incastonata’ sulle colline di Gavi, in frazione Pratolungo….
Se torno con la memoria al 14 febbraio 2006, quando l’acquistai, ricordo un rudere, e due vigne decisamente malmesse. Coinvolsi immediatamente nell’impresa Armando Idini, tuttora mio prezioso collaboratore, e gli dissi: ‘da dove cominciamo?’ Sapevamo solo di voler puntare sulla qualità assoluta, e senza compromessi che, ho poi scoperto strada facendo, sono purtroppo frequenti anche nel nostro mondo. Un aiuto fondamentale, sul fronte vigne, ci è arrivato dall’enologo Gianluca Scaglione: che oggi ha 33 anni, quindi all’epoca era davvero un ragazzino. Ma ha dimostrato sul campo il proprio valore.
Da dove siete partiti?
Dal recupero delle vigne esistenti: una l’abbiamo chiamata ‘la Storica’, proprio per conservare un ‘fil rouge’ con la tradizione, quando questa tenuta apparteneva all’ingegner Grossi. Abbiamo nutrito il terreno, e naturalmente via via anche piantato nuove viti, le barbatelle, procedendo in parallelo con la realizzazione della nuova cantina, sorta dove un tempo c’era un prato, a fianco del vecchio borgo, anch’esso in via di recupero. Non è stato facile, perché qui il terreno è tufaceo, e scavare per costruire è tutt’altro che agevole. Comunque oggi abbiamo una cantina molto ben attrezzata, e 10 ettari coltivati tutti a Cortese Docg, e con metodologie assolutamente naturali.
Che significa zero trattamenti?
Diciamo trattamenti minimi: solo quelli indispensabili per prevenire o combattere le malattie delle piante. Questo per noi è fondamentale, e viene prima degli affari, e del conto economico. E vale per tutte le fasi della coltivazione e della lavorazione, fino alla vendita delle bottiglie. Anche la vendemmia la facciamo completamente a mano, e con piccole ceste: ci vuole più tempo, e costa di più. Ma questo consente di non danneggiare la buccia degli acini durante i vari passaggi, e il vino conserva i propri caratteristici profumi.
Quante bottiglie producete, e quali sono i vostri mercati di riferimento?
Nel 2013, che fu ottima annata, abbiamo prodotto circa 80 mila bottiglie di Gavi Docg, suddivise tra le nostre diverse etichette. La commercializzazione avviene per l’80% sui mercati esteri, attraverso importatori di fiducia con i quali abbiamo avviato un percorso di collaborazione molto forte: siamo presenti in Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Belgio, Slovenia, Serbia, Nigeria, Indonesia e Giappone. Entrare e consolidarci in questi mercati è per noi molto importante: mentre in Italia stiamo crescendo bene, oltre che in Piemonte, anche in Liguria, e in parte in Lombardia.
Il Distretto del Gavi funziona? Riuscite a fare sinergia, e a creare un’identità di territorio, modello Langhe?
Sicuramente si sta lavorando molto in questa direzione, e noi facciamo volentieri la nostra parte. Siamo iscritti al Consorzio per la Tutela del Gavi, e personalmente ho molta fiducia in tanti piccoli produttori locali che non hanno magari la forza di conquistare, da soli, mercati internazionali, ma fanno ottimi vini, e vanno senz’altro valorizzati.
Oltre al Gavi Docg, commercializzate altri vini?
Sì, perché abbiamo capito che talora la clientela ha anche necessità di altri vini, a partire dai rossi. E quindi commercializziamo anche prodotti di altri, assolutamente di alta gamma. Abbiamo inoltre affittato alcune vigne nei dintorni di Nizza Monferrato, e produciamo direttamente un rosso molto apprezzato, che ho chiamato il Pettirosso, e non a caso: quando entrai per la prima volta nella vecchia cantina appena acquistata, ridotta ad un rudere, un pettirosso attraversò in volo tutta la stanza, ed uscì dalla finestra, verso il cielo. Lo presi come un buon auspicio, e gli abbiamo dedicato il nostro vino.
Professoressa Pedrini le vostre etichette sono bellissime, curate in ogni piccolo dettaglio. E’ un altro modo per raccontare la storia del vino, e di queste colline?
Certamente sì, e rientra nella logica di attenzione assoluta per ogni particolare. Anche le etichette sono un tassello importante del nostro lavoro, e del percorso che stiamo facendo. Ed è giusto utilizzarle per raccontare al mondo la nostra storia.
E. G.