Ipergarantiti e disperati [Controvento]

Italia che affondadi Ettore Grassano

“Guarda quel fighetto: ha scarpe da 200 euro, pantaloni e giacca firmata, e palesemente non ha mai lavorato. In più i locali il venerdì e sabato sono tutti pieni, anche ad Alessandria. Altro che crisi”. Me lo ha detto l’altra sera un amico, dirigente pubblico iper garantito e che, per sua stessa ammissione, da anni ormai lavora due ore al giorno (lui veramente mi ha detto un’ora e mezza ma, si sa, con gli amici si esagera sempre un po’). E ha perfettamente ragione. Un ampio pezzo d’Italia, e di Alessandria, è messa esattamente così: pochissimo lavoro, elevato benessere.  Bengodi insomma, o l’utopia socialista realizzata in Occidente.

Però a me, per contrasto, veniva in mente il diluvio di articoli ‘emergenziali’ di questi giorni sugli sfrattati con figli piccoli, la loro disperazione e le risposte retoriche delle nostre autorità da parata e da inaugurazione. Che naturalmente appartengono alle categorie super protette di cui sopra: quelli che, anche in caso di affondamento della baracca, si salvano sempre e comunque.

E poi ci sono i ragazzi, i ventenni e le ventenni: a cui anche su questo magazine facciamo il possibile per mostrare che opportunità ce ne sono comunque, e che bisogna rimboccarsi le maniche e provarci. Ma, francamente, avessi un figlio di vent’anni oggi lo farei specializzare all’estero, e gli direi di provare a capire come gira il mondo, e di conoscerlo a fondo, prima di fare come giusto le sue scelte.

Questa è l’Italia, smart solo negli auspici del premier Renzi, con cui ci tocca confrontarci. Un Paese pieno di contraddizioni, di ingiustizie fatte legge e sistema, di sperequazioni abissali in cui il reddito da lavoro, sempre più scarso e non garantito, non consente più ascesa sociale (diciamo miglioramento delle proprie condizioni), ma ben che vada sopravvivenza.

Chi ha la soluzione per uscirne, e vuole raccontarcela, sarà ascoltato con grande attenzione.