Bei tempi, quando avevamo la lira che ci dava l’illusione di essere tutti milionari! Pensate che bastavano soltanto dieci di questi bei bigliettoni per esserlo e così ogni anno schiere di nuovi milionari andavano ad aggiungersi a coloro che lo erano già. Sulla facciata delle banconote, tutte molto belle e colorate, c’erano i nostri massimi rappresentanti della cultura, dell’arte e della nostra storia patria, di cui potevamo andare orgogliosi anche senza averne mai letto o studiato alcunché. Su una delle ultime c’era raffigurato Caravaggio, una faccia da bandito, uno che avrebbe stuzzicato l’interesse del criminologo ottocentesco Cesare Lombroso, che certamente avrebbe trovato nella sua fisionomia qualche prezioso riferimento per le sue teorie. Ma Caravaggio era bergamasco, quindi uno dei massimi rappresentanti della Padania, uno dei nostri, uno di quella razza di gente che un tempo aveva sconfitto veramente e non per finta l’odiato Federico Barbarossa, il tedesco per eccellenza. E sì, ancora i tedeschi fra i piedi, ancora loro, il nostro nemico storico, che vorrebbe obbligarci al suo volere, come fa la “culona bionda”, oggetto delle battute salaci dell’ex cavaliere, che ancora adesso pretenderebbe di dare la dritta all’intera Europa!
Ma in fondo siamo veramente sicuri di voler far parte dell’Europa, oppure ci sentiamo più a nostro agio con arabi, turchi e balcanici vari, gente più accomodante con le regole e le leggi, più ricchi di fantasia (soprattutto se devono inventarsi dei trucchi per fregare il prossimo)?
Nella migliore delle ipotesi, se proprio dobbiamo sopportare di essere europei, si sente dire da molti che ci vorrebbero due monete: l’euro del nord, cioè dei popoli nordici (tedeschi, austriaci, danesi, olandesi, belgi, finlandesi e polacchi) e l’euro del sud, cioè quello dei popoli sudici (ogni aggancio etimologico è puramente casuale), vale a dire portoghesi, spagnoli, italiani, greci, sloveni e simili. I francesi forse se ne andranno per conto loro con Marie Le Pen e la voglia di grandeur che li attira e li illude, forse a causa della potenza nucleare, dell’industria aeronautica militare che ancora detengono e dell’unica portaerei che sono in grado di mettere in campo, ma che porta un nome glorioso.
Con le due monete sarebbe possibile per noi far finta di niente del nostro debito pubblico, sperare di cavalcare quel margine di svalutazione che ci permetterebbe di competere a livello di mercati, stampare moneta con una certa disinvoltura, e così, vai col liscio!
Ancora una volta ci aggrappiamo alle illusioni, non importa se con i soldi che forse ci troveremmo in mano (ma non è detto) anziché consolidare la nostra posizione ci lasceremmo ancora una volta andare a comprare lussuose macchine Mercedes o BMW o, se vogliamo copiare dall’ex cavaliere, una solida ed affidabile Audi (ancora una volta – guarda un po’ – roba tedesca, del paese di quell’antipatica “culona”).
Ma forse sarebbe ancora meglio dar retta a coloro che ci propongono l’uscita non solo dall’euro, ma anche dalla Comunità Europea. In fondo chi ci ha portato ad essere uno dei sei paesi fondatori della Comunità, cosa di cui un tempo eravamo orgogliosi ma che adesso ci dà l’orticaria?
I fondatori erano reduci della seconda guerra mondiale, gente che aveva come ricordo l’orrore della guerra e quindi la pace come bene supremo. Si chiamavano Adenauer, Monnet, Schuman, De Gasperi, Spaak, Hallstein, Mansholt.
Cosa avevano a che fare questi personaggi con Grillo, Meloni, Salvini e compagnia bella? Niente di niente e, se vogliamo ricordarlo, diciamo che il nostro rappresentante De Gasperi non era nemmeno nato in Italia, ma era trentino ed era stato cittadino austriaco!
Mettiamoli quindi da parte tutti questi quadri d’epoca e mandiamo a fare i nostri interessi gente tosta, agguerrita, che sappia “alzare la voce”, cioè gridare, imprecare, buttare là battute, ma non importa, solo che facciano effetto alle orecchie della gente che li ha votati!
Qualcuno che ha nostalgia della lira, dice che quando c’era lira la nostra economia andava a gonfie vele, non importa se ogni anno la moneta si svalutava del venti per cento e se gli interessi del nostro debito pubblico erano ancora più alti (ricordo che i CCT rendevano addirittura il 22% ed i BOT annuali ben il 16% netto). L’inflazione non era percepita come una disgrazia, ma come una continua opportunità. Infatti aiutava, come una droga, le nostre industrie a stare al passo con la concorrenza, anche se poi per pigrizia era molto comodo cavalcare l’inflazione piuttosto che seguire il passo delle innovazioni tecnologiche investendo ed aggiornando la ricerca di nuovi sbocchi di mercato.
Qualcuno ricorda che nel 1958 la nostra lira aveva conquistato l’oscar delle monete, ma omette di dire che a quei tempi venivamo dall’entusiasmo della ricostruzione post-bellica, resa possibile dai massicci aiuti finanziari americani del Piano Marshall, non avevamo ancora conquistato l’abitudine al superfluo, non avevamo ancora innescato la spirale perversa dello spreco, della corruzione e tutto quello che poi abbiamo conosciuto.
Vorrei però che qualcuno mi aiutasse a capire come è stato possibile che in un ventennio o poco più abbiamo raggiunto un debito pubblico di oltre due mila miliardi di euro, abbiamo corrotto l’etica pubblica, la finanza pubblica e privata al di là di ogni ragionevole limite. Ce la prendiamo con la cosiddetta “finanza globale”, inventiamo complotti dei poteri forti, che etichettiamo come sempre demo-pluto-ebraico-massonici a danno nostro e giriamo la testa dall’altra parte quando è evidente che le responsabilità sono solo interne all’Italia.
Non mi risulta che siano venuti in Italia né tedeschi né francesi a combinare dei disastri; ci sono bastati i nostri Mussari e Baldassarri che, dopo aver affossato la Banca del Salento sono passati all’opera, con la complicità degli amici di D’Alema, per affossare anche la più antica banca italiana, Il Monte dei Paschi di Siena. Ci sono bastate le accoppiate Ponzellini-Corallo alla Banca Popolare di Milano o le trovate di un certo Berneschi alla Carige di Genova. Ci siamo in questo ventennio distinti per aver accettato che ci rappresentassero anche all’estero uomini come Cosentino, Matacena, Lavitola o donne come la bionda fermata con il trolley pieno di 24 chili di cocaina facente parte della delegazione ufficiale italiana ai congressi internazionali a fianco dell’allora Presidente del Consiglio. Abbiamo tollerato che un ministro dell’interno come Scajola, responsabile delle forze dell’ordine, proteggesse dei delinquenti amici suoi e delle sue amanti e ne favorisse la latitanza. Questo siamo diventati in questi anni noi italiani, altro che dare la colpa ai tedeschi!
Un insigne economista della Banca Centrale Europea (quella che dovrebbe salvarci in caso di fallimento), elenca in un suo libro ben 33 false verità sull’Europa che attualmente circolano nei dibattiti organizzati anche nei nostri mass-media, compresi alcuni canali televisivi che vanno per la maggiore.
Io non voglio, per mancanza di tempo, entrare nel merito di ciascuno di questi trentatre falsi miti che bloccano il cervello di molti opinionisti del nostro paese, ma mi piacerebbe poter discutere su ciò che potrebbe essere il nostro destino se decidessimo di uscire dall’Europa.
Dove troveremmo il denaro per gli investimenti necessari per far risorgere la nostra economia, se andiamo in giro a dire che non pagheremo più il nostro debito pubblico?. E’ nostro interesse che il debito ci costi solo il due o tre per cento piuttosto che il 20 o il 25 per cento e poi chi farebbe ancora credito ad un paese come il nostro che ha da sempre avuto bisogno di ottenere finanziamenti esterni per stimolare la sua economia?
In fondo, se il nostro debito resta fermo e ci limitiamo a pagare bassi interessi possiamo dire che in definitiva un debito che non viene mai rimborsato e sempre e soltanto rinnovato è quasi come se non esistesse!
Che ne sarebbe della nostra economia se non facessimo parte integrante dell’Europa?
Innescheremmo una serie di contenziosi che ostacolerebbero seriamente il lavoro delle nostre industrie e della nostra agricoltura. Cosa ci costerebbero le importazioni dei beni che ci sono indispensabili, a cominciare dall’energia, se dovessimo pagare in dollari o in euro, avendo in mano soltanto delle lirette?
Ed inoltre per assurdo, se ragioniamo di due euro, uno del nord ed uno del sud Europa, perché non potremmo ipotizzare anche due lire, una lira quasi virtuosa della Padania che si svaluta magari una volta sola all’anno ed una lira corrotta del Meridione che si svaluta ogni quindici giorni? Se è vero che ci sono due Europe, possiamo ignorare che esistono da sempre due Italie? E allora, perché non siamo riusciti in due secoli ad unificare le due Italie, mentre i nostri odiati tedeschi sono riusciti ad unificare le due Germanie in soli due decenni?
E nel settore agricolo, quale azienda sarebbe in grado di sopravvivere senza i contributi europei ad integrazione del reddito (la cosiddetta PAC)?
Bisogna capire quale destino potrà attenderci se diamo ascolto a certi discorsi da osteria, perché una volta che abbiamo messo il piede in fallo, sarà molto difficile tornare indietro.
Io molto più modestamente penso che se in Europa e nell’euro riescono a starci paesi come la Polonia, a maggior ragione potremmo farcela noi, solo che avessimo l’onestà di ammettere e correggere i nostri errori e la piantassimo di trovare negli altri le colpe che sono e restano soltanto le nostre.
Luigi Timo – Castelceriolo