Da più di trent’anni sta dalla parte dei deboli e di chi è in difficoltà, con progetti di cooperazione internazionale sviluppati in mezzo mondo: Cambogia, Mozambico, Giordania, Marocco, Tanzania e molti altri Paesi. L’Ics di Alessandria (oggi Onlus, dopo aver raccolto il testimone del disciolto Consorzio di enti locali) tutti quanti lo conosciamo come organizzatore della StraAlessandria (l’edizione 2014 ce la siamo appena lasciata alle spalle), ma la corsa cittadina più popolare è in realtà soltanto il ‘grimaldello’ con cui l’Istituto per la Cooperazione e lo Sviluppo riesce, da tanti anni, ad accendere i ‘riflettori’ dei media su una serie di progetti ed attività di enorme rilevanza sociale (dalla realizzazione di pozzi di acqua potabile e di intere rete idriche, al recupero dei detenuti), realizzati con la forza della determinazione e della passione, e il coinvolgimento di un gruppo di volontari di diverse età ed estrazioni, accomunati da un comune ‘sentire’, e da una visione ‘interventista’, ossia rimbocchiamoci le maniche e facciamo tutto quel che è possibile, senza delegare e aspettare che ci pensi lo Stato, o chissà chi altro.
Pietro Sacchi di Ics non è solo l’attuale presidente e rappresentante legale, ma uno dei fondatori (“ho contribuito, con altri, alla scrittura del primo statuto”), e ci racconta in questa chiacchierata, naturalmente per rapidi cenni, storia e percorso dell’Istituto, ma soprattutto quali sono i progetti in corso, e gli obiettivi futuri.
Presidente Sacchi, l’Ics oggi è più vivo e attivo che mai, e proiettato nel futuro. Ma ci pare tutt’altro che superfluo provare a ricordarne il percorso, in questi decenni. E chi meglio di lei…
Più che altro, può essere difficile credere che così tanti progetti (compresa la StrAlessandria naturalmente, che è il nostro biglietto da visita mediaticamente più efficace) siano stati pensati, e realizzati, da un numero di persone tutto sommato esiguo, e su base pressoché sempre volontaria. Ma è questa la nostra storia, il nostro dna. Ics nasce, come progetto e nel fare, prima che come marchio, all’inizio degli anni Ottanta. Si costituì allora, all’interno dell’Istituto Storico per la Resistenza, un nucleo che si chiamava Educazione alla Pace e allo Sviluppo, che fu inserito all’interno delle attività del comune di Alessandria destinati alle scuole, ed entrava in contatto ogni anno con 4 o 5 mila studenti. In parallelo, cominciammo ad organizzare ad Alessandria incontri ed eventi che coinvolsero figure anche di grande prestigio internazionale (ad esempio Rigoberta Menchù, ben prima che diventasse premio Nobel: e in un giorno grazie a lei ‘passarono’ dal Teatro comunale circa 2.000 persone), con mostre, proiezioni di film, dibattiti che avevano come ‘fil rouge’ l’attenzione per parti del mondo in cui esistevano situazioni di vera emergenza, sul piano della libertà di espressione, ma anche e soprattutto delle condizioni di vita della popolazione, a partire dai bambini.
C’è un Paese a cui per primo avete dedicato attenzioni particolari?
Certamente la Cambogia: i rapporti cominciarono nel 1987, ed erano quelli anni molto delicati, con l’occupazione vietnamita in corso dopo la cacciata dei Khmer Rossi, e la popolazione che aveva bisogno di tutto. Ricordo che, in dialetto alessandrino, ci siamo detti: “sa ca fuma?”. E poiché una legge del 1986 aveva appena stabilito che gli enti locali potevano occuparsi di cooperazione, attraverso l’istituzione di appositi consorzi, ci siamo attivati. L’Ics nacque, completato l’iter necessario, nel 1989, e si chiama così proprio perché lo stabiliva la normativa.
Ma come funziona, concretamente, un progetto di cooperazione internazionale?
Innanzitutto, la nuova legge rendeva possibile la cooperazione tra singole città, senza la necessità di altri vincoli e ‘filtri’ di carattere ministeriale o statale. Ed era un bel cambiamento. Concretamente, per realizzare un progetto di cooperazione internazionale ci vuole, prima di tutto, non solo una chiara conoscenza del Paese e della zona in cui si vuole intervenire: ma si deve trovare là un referente ufficiale, che diventa l’interlocutore di tutte le fasi del percorso. Diciamo meglio: ci sono due livelli su entrambi i fronti, ossia i due paesi coinvolti. C’è il fronte operativo, il nostro, cioè quello dei tecnici che sviluppano il progetto, cercano i finanziamenti, e lo realizzano. E c’è il livello politico (nel nostro caso i comuni, la Provincia, e gli altri enti coinvolti. Sull’altro fronte dipende dalle diverse realtà nazionali: comunque sempre rappresentanti del territorio in questione).
Ma i soldi da dove arrivavano, e arrivano? Dall’Europa? Dallo Stato nazionale e dalle Regioni?
Dipende dai singoli casi, dai bandi di finanziamento a cui, in base al progetto sviluppato, si riesce ad avere accesso. Personalmente sono molto critico con l’Unione Europea: certamente da lì in passato sono arrivate risorse importanti, penso ad esempio ai progetti Med, tra città del Mediterraneo, poi assurdamente interrotti però proprio quando, dal livello analitico e conoscitivo, si sarebbe dovuti finalmente passare alla concretezza, all’operatività. Sono critico con l’Europa perché per molti versi è un elefante burocratico, che impone procedure assurde, e si fa imbrigliare e travolgere dalle procedure formali, ancor più dei singoli Stati nazionali. Scriva pure che con l’Europa ho il dente avvelenato….
In ogni caso, dalla fine degli anni Ottanta e fino al 2011 l’Ics, come consorzio, interventi e progetti in giro per il mondo ne ha realizzati parecchi…
Assolutamente sì. E, vorrei evidenziarlo, per molti anni senza pianta organica, e poi con uno staff ridotto all’osso, di 4 dipendenti. In realtà non sarebbe stato possibile fare nulla, ma proprio nulla, senza la passione dei volontari. Abbiamo realizzato pozzi, acquedotti, canali, bonifiche di territori sperduti. Oppure il progetto contro la leucemia infantile in Nicaragua, con l’essenziale supporto dell’Ospedale di Monza. Hanno lavorato per noi e con noi fior di professionisti, in cambio al più del rimborso del viaggio, e a volte pagando di tasca loro pure quello.
Chissà, forse è proprio quello che a qualcuno non andava a genio, presidente. Ad un certo punto cos’è successo?
Nel 2011 è stato deciso, a livello nazionale, che gli enti locali dovessero uscire dai consorzi di cooperazione, e Ics è stato messo in liquidazione, pur essendo realtà solida e sana, e con diversi progetti in corso d’opera. I 4 dipendenti sono stati collocati due in Aspal, uno in Provincia e uno in Amag, e una contrattista è rimasta a piedi. Al che si siamo detti: possiamo mollare così, abbandonare tutto, e lasciare che magari altri mettano le mani su nostre iniziative, come la stessa StrAlessandria, magari stravolgendole? Non ci sembrava il caso, e abbiamo deciso di rilanciare: costituendo Ics Onlus, che ha raccolto testimone, finalità, spirito, metodi e progetti del consorzio, per guardare avanti. Abbiamo anche la stessa sede, in via Verona 17.
E avanti cosa c’è?
Un sacco di iniziative, per realizzare le quali cerchiamo finanziamenti sia pubblici che privati. La stessa StrAlessandria, nata nel lontano 1986 per sostenere il progetto Cambogia, e ormai corsa ‘simbolo’ che quest’anno ha visto la partecipazione di quasi 7 mila alessandrini, è fonte di finanziamento, ma soprattutto diventa ‘veicolo’ promozionale delle nostre attività. Ne cito alcune: in Cambogia ci siamo sempre, abbiamo terminato un pozzo di 200 metri all’inizio di quest’anno, e ci sono altre attività in corso. Poi c’è il Mozambico, dove abbiamo sviluppato un percorso grazie all’importante collaborazione con Roberto Nani, che avete ricordato di recente. Lì ora dovremmo realizzare diversi pozzi, nella parte nord del Paese: e non si tratta solo di realizzare tecnicamente le opere, ma anche di sviluppare sul posto, con personale locale, dei percorsi di tipo educativo. Ossia cos’è l’acqua potabile, come si usa, e come non si usa. Continuano poi i nostri interventi a Gerico (nostro ‘fiore all’occhiello’, certamente: abbiamo coinvolto nella realizzazione della rete idrica ministeri locali e italiani, è un progetto complesso rispetto al quale incontreremo il prossimo 8 giugno i rappresentanti del governo Renzi), in Marocco, in Tanzania.
Poi, a casa nostra, ci sono i progetti che riguardano il carcere…
Sì, quelli sono un mio ‘pallino’ personale, in effetti. Mi ci dedico con passione da anni, e abbiamo creato un laboratorio di pittura, che ha prodotto anche mostre esterne, e una pala che è esposta permanentemente al Marengo Museum. Importante, su questo fronte pittorico, la collaborazione che si è sviluppata tra i detenuti stessi, e gli studenti delle scuole: nei prossimi giorni ne porterò un gruppo in visita proprio a San Michele, naturalmente grazie alla preziosa collaborazione del Direttore del carcere e degli educatori da un lato, e del Provveditorato agli Studi dall’altro.
Insomma, siete inarrestabili…
Finchè ci sorregge l’entusiasmo, sicuramente sì. Siamo una quarantina di soci, ma apertissimi anche a contributi e collaborazioni di esterni. Le competenze necessarie, o comunque utili, sono davvero tante: chiunque ne voglia parlare, può contattarci tramite i nostri siti Internet, ma anche passando in sede. Ci confrontiamo volentieri con tutti.
Ettore Grassano