di Giancarlo Patrucco
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Questo, più che un articolo di fondo, una riflessione approfondita e articolata sul significato delle elezioni europee del prossimo 25 maggio, è un report. Un’immagine quasi statistica, fatta di dati e cifre. Una serie di numeri che, forse meglio di una riflessione, ci permette di rispondere al titolo di cui sopra: “Ma l’Europa di chi?”. Insomma, quale Europa viene fuori secondo le scelte politiche infra ed extra nazionali, prima e a prescindere dal nostro voto? E il nostro voto riuscirà a incidere su quelle scelte, o ci passeranno sulla testa come al solito?
Vediamo.
L’Unione Europea (UE) è una comunità sovrannazionale che attualmente comprende 28 Stati, con una moneta unica (euro), attualmente adottata da 18 di quegli Stati membri.
I 28 Stati membri dell’Unione (in grassetto quelli che aderiscono anche alla moneta unica) sono:
Austria (8 milioni di abitanti)
Belgio (10 milioni)
Bulgaria (7 milioni)
Cipro (1 milione)
Croazia (4 milioni)
Danimarca (5 milioni)
Estonia (1 milione)
Finlandia (5 milioni)
Francia (66 milioni)
Germania (81 milioni)
Grecia (11 milioni)
Irlanda (5 milioni)
Italia (61 milioni)
Lettonia (2 milioni)
Lituania (3 milioni)
Lussemburgo (500 mila)
Malta (400 mila)
Paesi Bassi (17 milioni)
Polonia (38 milioni)
Portogallo (11 milioni)
Regno Unito (63 milioni)
Repubblica Ceca (10 milioni)
Romania (22 milioni)
Slovacchia (5 milioni)
Slovenia (2 milioni)
Spagna (47 milioni)
Svezia (9 milioni)
Ungheria (10 milioni)
per un totale di poco superiore ai 500 milioni di abitanti (zona Euro: 333 milioni).
Tra le sette istituzioni in cui si articola l’Unione Europea, le più significative sono:
– la Commissione Europea, che è formata da un Commissario indicato da ogni Stato membro, con un suo Presidente;
– il Parlamento Europeo, per il quale siamo appunto chiamati a votare il prossimo 25 maggio;
– il Consiglio dell’Unione Europea (o Consiglio dei Ministri), alla cui Presidenza ruotano a cadenza semestrale tutti gli Stati membri (all’Italia toccherà fra poco, con il nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi).
Il Trattato di Lisbona prevede che il parlamento europeo debba eleggere il presidente della Commissione Europea, capo dell’Esecutivo Europeo, sulla base di una proposta fatta dal Consiglio europeo, prendendo in considerazione le elezioni europee. Queste disposizioni vengono per la prima volta applicate durante le elezioni europee del 2014 e sembrano rappresentare una prima via d’uscita per la crisi istituzionale attualmente in corso nella UE. Si dice che, dopo queste elezioni, la Commissione non sarà soltanto il burocratico “regolatore” di opposti interessi, bensì un organismo decisionale con una sua autonomia e una sua rappresentatività politica.
A contendersi quel ruolo sono in lizza sei candidati:
– Jean-Claude Junker (PPE – Partito Popolare Europeo)
– Martin Schulz (PSE – Partito del Socialismo Europeo)
– Guy Verhofstadt (ALDE – Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa)
– Alexis Tsipras (EL – Partito della Sinistra Europea)
– Ska Keller e José Bové (Verdi Europei). Chi dei due sarà il candidato presidente lo decideranno i voti che saranno in grado di conquistare.
Da dove arrivano? Presto detto:
Junker: Lussemburgo
Schulz: Germania
Verhofstadt: Belgio
Tsipras: Grecia
Keller: Germania
José Bové: Francia.
Commentino finale:
quattro candidati su sei arrivano direttamente dallo Stato più forte della UE, la Germania, oppure da quelli che sono considerati all’interno della sua area di influenza. Satelliti, si potrebbe dire. Il quinto, Bové, dovrà vedersela all’interno del suo raggruppamento, prima ancora di potersi dichiarare candidato alla presidenza. Il sesto, Tsipras, arriva da uno dei Paesi più disastrati, appartenente all’area dei cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna).
Rimane un’ultima opzione. Marine Le Pen doveva essere il candidato di Alleanza Europea per la Libertà (Eaf), il gruppo di estrema destra a cui hanno aderito il Fronte Nazionale francese, il Partito per la Libertà austriaco, la formazione belga Interesse Fiammingo, il Partito per la Libertà olandese, i Democratici Svedesi e la Lega Nord. Ma, dopo mesi, la candidatura è stata ritirata forse per non dare l’idea che l’estrema destra legittimi un’istituzione che invece contesta alle radici.
Solo da qui potrebbe arrivare qualche (negativa) sorpresa.
Come si può vedere, mancano all’appello Paesi come l’Italia, la Francia (se Bové non ce la fa), la Spagna, il Regno Unito, l’Irlanda, la Svezia, la Danimarca, la Polonia, il Portogallo, l’Ungheria, che messi insieme fanno più di metà della popolazione UE.
Gli unici che al momento hanno concrete possibilità di vincere sono espressione di una trazione centro-europea che dalla UE ha avuto molto e non sembra disponibile a cedere. Con Junker o Schulz, per noi cambierà qualcosa?