A Bologna, in Palazzo Fava, insieme ai due quadri già illustrati nell’articolo precedente, La ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer e Il Cardellino di Fabricius, considerati i dipinti più amati dagli olandesi, sono esposte in mostra nella quinta sala, alcune bellissime nature morte, genere pittorico nato e reso sublime come stile a sé stante proprio nell’Olanda del ‘600, durante la Golden Age. La natura morta intesa come riproduzione di fiori e frutti inseriti nel contesto del dipinto esisteva già nell’antichità, nel MedioEvo e nel Rinascimento. Durante il XVII secolo si conosce un notevole sviluppo delle opere raffiguranti oggetti inanimati insieme a fiori e frutta. Fra i pittori italiani che vi si dedicano con maggior cura e fortuna vi sono Caravaggio (Cesta con Frutta), Jacopo De Barbari (Pernice morta ed un paio di guanti, 1504), Fede Galizia, Paolo Porpora. Ma è in Olanda che questo genere trova particolare significato e diviene un genere pittorico vero e proprio e molto amato.
Di per sé il termine, coniato nel Tardo Rinascimento, è presente con traduzioni affini in molti paesi europei, ‘still life’ per gli inglesi, ‘stil leben’ in Germania,’ naturaliza muerta’ per gli spagnoli, ‘xenia’ per gli antichi greci, letteralmente ‘doni ospitali’ da xenos, ospite. Sul piano concettuale invece rappresentare la natura morta ha un significato assolutamente innovativo e vuol dire passare dal rapporto dell’uomo con le cose materiali nel significato ad esse convenzionalmente attribuito, come oggetti inanimati ad una considerazione delle cose in quanto portatrici di significati e di valori estetici autonomi, protagonisti del dipinto tanto quanto la figura umana.
La natura morta esprimeva nei quadri olandesi il gusto per l’intimità e comprendeva diversi generi. I quadri di fiori, spiccavano per bellezza ed unicità, in particolare quelli di Ambrosius Bosschaert il Vecchio (1573-1621). Tra i pittori invece che prediligevano natura morte con elementi di cibo non si può non celebrare Pieter Claesz (1597–1661) autore proprio di alcuni bellissimi dipinti facenti parte della raccolta della mostra dedicata alla Golden Age olandese, Natura morta con candela accesa del 1627 e Vanitas del 1630.
Pietre Claesz di Harleem ed il suo concittadino Willem Heda sono considerati i più importanti pittori di nature morte del primo Seicento. Nel 1630 introdussero un tipo di natura morta monocroma con oggetti disposti in modo apparentemente casuale, ma in realtà molto ragionato. Nella raffigurazione la candela è oramai quasi consumata, accanto vi è uno smoccolatoio, qualche libro ed un paio di occhiali. Risalta molto l’effetto luce; la fiamma della candela si riflette nella coppa di vetro, che a sua volta crea un ombra sul tavolo e sui libri.
La tavolozza monocromatica crea un effetto forte dei materiali e l’insieme totale dell’opera si può definire ammaliante, quasi di una bellezza stregata. Tutto è fermo, per caso, ma l’atmosfera è fortemente suggestiva e carica di significati: la conoscenza è un faro nel buio, altri interpreti associano l immagine del dipinto ad un detto popolare: A che servono la candela e gli occhiali se il gufo non vuol vedere? (Wat baet er kaers of bril, als den uyl niet zien en wil) Il proverbio seicentesco sottolinea l’inutilità dello studio per coloro che non sanno distinguere teoria e realtà. Qualunque interpretazione si voglia dare alla raffigurazione di Claesz, tutto porta alla caducità e fugacità della vita dell’uomo. Nelle opere piu tarde di Claesz il simbolismo diviene meno accentuato, mentre l’enfasi si concentra sul carattere poetico della composizione.
Bellissima anche la Vanitas, dove invece di una tavola imbandita con cibi e bevande sono raffigurati elementi insoliti, frammisti ad oggetti comuni. Su una pila di fogli sono adagiati un teschio e altre parti dello scheletro umano, stimolo ad un memento mori, chiaro riferimento alla futilità della vita, appunto Vanitas. L’uomo cerca di registrare saggezza e conoscenza con carta e penna d’oca ma forse è tutto inutile…o forse no, questo non viene svelato, è un mistero che resta di libera interpretazione.
Infine troviamo in mostra, bellissima, la Natura morta con cinque albicocche di Adrien Coorte del 1704. Misterioso l’autore ed anche i suoi dipinti. Nei Paesi Bassi pochi specialisti di questo genere erano gia attivi in quel periodo. I suoi colleghi prediligevano lusso ed abbondanza. Coorte eccelleva in composizioni davvero semplici. Anche il quadro è di formato piccolo: raffigura cinque albicocche davanti ad un ramoscello. La luce investe il ramo e le sue foglie, pertchè solo la parte superiore del dipinto è illuminata e ciò gli conferisce un’aura magica. E’ davvero un piccolo eccellente capolavoro di un artista di cui si conservano soltanto sessantasei dipinti, di cui non si conosce data di nascita e morte, ma soltanto che fu attivo a Middleburg tra il 1683 ed il 1707. Nessun altro pittore è riuscito a riprodurre elementi così modesti, come un frutto, una conchiglia o una verdura su fondo scuro dotati di cosi grande fascino, e circondati da un’aura di magia cosi lieve da renderne il ricordo indimenticabile.