Inviatomi dalla dolce amica Silvia Samorì, lo stupendo saggio di Eraldo Baldini Tenebrosa Romagna (Il Ponte di Mezzo, 2014) fa riemergere alla luce, paradosso solo apparente, l’oscuro immaginario tra realtà e folclore di una regione che condivide con il nostro Piemonte nebbie e storie di purissimo gotico padano, un alveo culturale ricco e inesauribile in cui si agitano mostri da fiaba e mostri qualche volta veri. Come forse ho già scritto, Romagna e Piemonte non sono così lontane: analoghe storie territoriali, nebbie fitte alla Carpenter, misteri irrisolti, paesini bloccati nel tempo e centinaia di case abbandonate, attorno alle quali l’immaginario si scatena (ma forse “dentro” si scatenano altre forze…). Eraldo, caposcuola letterario della letteratura dell’inquietudine e finissimo antropologo, è con Pupi Avati il pilastro di un mondo gotico padano attorno al quale si sta materiando da anni il cuore rivelatore della nostra più genuina autorialità fantastica, da Gianfranco Nerozzi a Nicola Lombardi, da Barbara Baraldi alle incursioni filmiche di Ivan Zuccon (La casa sfuggita). Citando la prefazione di Roberto della Torre a un bel libro di qualche anno fa, Il gotico padano – Dialogo con Pupi Avati, di Ruggero Adamovit e Claudio Bartolini, il mondo che Baldini investiga in Tenebrosa Romagna sembrerebbe all’apparenza “fantastico”. Ma i suoi elementi caratterizzanti sono di segno diverso: “Antiche case in rovina, ville isolate e abbandonate nella campagna, piccole comunità strette intorno alla tutela del proprio segreto in nome del rispetto di norme e regole di un vivere sociale saldamente legato all’antichità, il mistero celato sotto le vesti della leggenda, personaggi ambigui e doppi che abitano luoghi bui e misteriosi, località sospese nel tempo e senza una precisa collocazione spaziale, eroi che affannosamente ricercano una verità ma la cui rivelazione sarà per loro fatale.” Elementi fantastici? Nel senso che la realtà italiana, quella “gotico rurale”, è un altropianeta che se ne sta a 360° dagli elementi elencati da Della Torre? Niente affatto. E tanto in Piemonte quanto in Romagna ci troviamo spesso di fronte a elementi veri, tangibili, di cronaca che spesso nutrono il folclore, e viceversa. Con scrittori superlativi che tendono a trasfigurarli e a farli migrare in più rassicuranti territori “fantastici”. Proprio in un documentario di Alessandro Scillitani e Mirella Gazzotti, Case abbandonate, cui ho partecipato per puro caso, il commento corale ed esplorativo riguarda proprio dimore abbandonate, tantissime, nascoste, rimosse dalla coscienza collettiva e contenitrici di storie leggendarie che, se poi vai a scavare, di leggendario forse non c’è proprio nulla, se non quell’aura che il cattivo incedere del tempo regala ai misteri che non siamo in grado di risolvere. Scivolando nel personale, posso raccontarvi che da più di vent’anni abito in un lembo di campagna, in provincia di Alessandria, con parecchie case abbandonate qua e là, ma solo di recente ho scoperto che casa mia lambisce un territorio che nei secoli scorsi era denominato la Mascöia: “E’ interessante far notare che ‘masca’ è un vecchio termine dialettale per indicare una strega e proprio in quella zona era presente un insediamento rurale denominato Cascina delle Streghe” – scrivono Daniele Cermelli e Gianluca Barco – questa costruzione è stata per anni meta di intere comitive di giovani che, alla ricerca di forti emozioni, in bicicletta o in motorino, nel buio delle tenebre la raggiungevano per intimorirsi a vicenda con racconti e leggende che la riguardavano. Si narra che il nome della cascina derivi addirittura dal periodo dell’Inquisizione in quanto in tanti avrebbero sostenuto che in quel luogo si svolgessero veri e propri sabba con streghe provenienti da ogni dove. Nei primi anni del Novecento due vagabondi si rifugiarono per la notte in quel rustico: per l’occasione gli abitanti dei cascinali vicini sentirono per ore urla strazianti provenire dal fabbricato e dei due malcapitati non si seppe mai più nulla”. Incrocio fra leggenda e cronaca, ancora (e quanto assomiglia questo brandello a quel mito yankee inventato di sana pianta che abbiamo conosciuto come “la maledizione della strega di Blair”...), però, fino a un paio d’anni fa, ignoravo di transitare quasi quotidianamente davanti a una purissima location gotica e padana che si vorrebbe relegare nelle stanze del mito. Restando ancora nel territorio di Avati e Baldini, dentro quel mondo fatale e immobile del gotico rurale, non è senza senso citare il finale del film Le strelle nel fosso quando la misteriosa Olimpia, inghiottita dal buio della campagna, scompare alla vista di cinque uomini che rimangono immobili con lo sguardo perso nel nulla, rivolto alla sua sagoma che si dissolve. Iniziato con la scomparsa di una donna, la signora Bedosti, da una casa isolata circondata dalle acque e da una fragile lingua di terra che confina nel nulla, Le strelle nel fosso termina con un evento analogo, instillando nello spettatore che l’epifania della sparizione sia il cuore vero (e nero) del gotico padano. Case sfuggite, gente sfuggita, la memoria pure. Nel già citato film di Zuccon, che è nativo di Ferrara, sotto le tetre e magiche volte di quella che fu a un tempo la “Locanda al Crocevia”, la gente sparisce e ricompare, andando e venendo da universi contigui che fanno riferimento, in un sapiente mix tra Lynch e Lovecraft, a tre terribili vicende lì accadute in epoche diverse. Come suggerisce Nicola Lombardi ne I ragni zingari, esiste un Mondo Oltre lo Specchio celato nella storia delle mille case lasciate a sé stesse in quell’ideale territorio che certa politica vorrebbe battezzare per sempre “Padania”. Ma si scompare, si “sfugge” e purtroppo, spesso, si raggiunge un luogo segreto e serrato tra le pieghe della visione. Non esiste la “sicurezza”: questo hanno sempre insegnato le vecchie storie sussurrate fra le tenebre della “bassa”. In troppi casi la modernità ha compiuto l’errore di azzerarne la memoria. Libri come Tenebrosa Romagna la riportano in vita.