“Sa cosa dicevo sempre ai vigili che lavoravano con me? Ragazzi, non multate mai un padre accompagnato in auto dal proprio bambino: se serve chiamate quell’uomo in disparte, ma non mettete in discussione la sua autorità di fronte al figlio”. In questa frase, con la quale esordisce nella nostra conversazione, c’è lo tutto lo ‘spirito’ del dottor Remo Benzi, a lungo comandante dei vigili alessandrini (“dal 1978 al 1994, pochi giorni prima dell’alluvione”), e oggi libero pensatore tutt’altro che inoperoso, e anzi sempre più attento a quel che succede nel Paese, politica compresa. Lettore e commentatore attento del nostro magazine, lo abbiamo incontrato nei giorni scorsi, in occasione dell’ultimo saluto pubblico al nostro e suo amico Paolo Zoccola. Ed è stata l’occasione per una conversazione a tutto tondo, sull’Alessandria di ieri, ma anche, e forse soprattutto, su quella di oggi e di domani.
Comandante Benzi, Alessandria è davvero così malmessa, rispetto agli anni a cavallo tra i Settanta e i Novanta, che la videro per 16 anni al comando della Polizia Municipale cittadina?
Alessandria ha bisogno di tornare a credere in sé stessa, un po’ come l’Italia. Tutto lì. Non è che allora fosse tutto perfetto. Ma questa era all’epoca una città operativa: che faceva le cose, che coltivava progetti. E in cui tra le persone prevaleva appunto la fiducia nel futuro, non la paura e il pessimismo. A me comunque Alessandria continua a piacere, sia chiaro. Vivo in un piccolissimo centro, Castelspina: l’ideale per pensare e scrivere, che oggi sono le mie attività principali. Ma qui ci vengo quasi tutti i giorni, e ho ancora tanti amici.
Ci racconti un po’ il suo percorso, Comandante. Qualcuno ci ha detto: “Benzi era uno sceriffo, ma dal volto umano”
(sorride, ndr) Sicuramente ho sempre creduto all’etica della responsabilità, e certamente anche alla disciplina, al rispetto delle regole. Principi che ho ereditato da mio padre, che mi trasmise tra l’altro anche l’amore per la divisa dei vigili. Lui, nato ad Alessandria, era di San Salvatore, anche se poi si trasferì per ragioni famigliari a Genova, dove io ho studiato. Il diploma intendo, perché le lauree le ho prese dopo, lavorando. Appartengo ad una famiglia popolare, con forti radici a sinistra, che costarono a mio padre, e a mio zio (dirigente del Partito comunista in clandestinità durante il fascismo, con il nome di battaglia di Remo!) anni di botte, e di galera. Mio padre fu poi deportato nel ’43 in Germania, e tornò solo dopo la Liberazione. Io ero bambino, ma queste storie me le porto dentro. Così come, quando arrivai come comandante ad Alessandria nel 1978, non potei fare a meno di pensare: “questi sassi, queste strade sono le stesse che calpestò mio nonno”.
Quando lei arrivò ad Alessandria chi era il sindaco?
Felice Borgoglio…sostituito l’anno dopo da Barrera, sempre con Alfio Brina vicesindaco. Poi vennero i successivi, fino a Francesca Calvo nel 1993. E credo di avere sempre avuto rapporti corretti con tutti, molto professionali. Arrivavo dal comando di Bassano del Grappa, dove erano francamente ‘avanti’, sul piano dell’organizzazione, e delle risorse. Là partecipai tra l’altro, con i miei ragazzi, ai soccorsi in occasione del terremoto del Friuli, nel 1976. Mentre qui, da Alessandria, partimmo nel 1980 diretti in Irpinia: zona difficile, dove c’erano dei veri e propri ‘assalti alla diligenza’, inutile negarlo. Eppure facemmo il nostro dovere fino in fondo. Vede, il punto essenziale stava, e sta, proprio in questa visione del vigile come pubblico ufficiale al servizio dei cittadini, al loro fianco: non come oppressore, scatenato a fare multe. Che pure se si devono fare si fanno, e senza favoritismi.
Fu durante la sua gestione che i vigili si trasferirono nell’attuale comando di via Lanza?
Certo: quando arrivai la sede era a Palazzo Cuttica, praticamente nel seminterrato. Davvero una soluzione sacrificata, e fummo lieti di trasferirci in via Lanza, quando ce ne fu la possibilità.
E l’alluvione? Lei la scampò per un pelo: da pochi giorni era diventato comandante a Genova….
Mica tanto: ne vissi due, semmai. Il 4 di novembre 1994 fu alluvionata Genova. In maniera meno drammatica di Alessandria, forse anche perché i liguri sono da sempre più avvezzi a questo tipo di emergenza. Poi il 6 l’alluvione arrivò qui…e ricordo che qualche ora prima della piena del Tanaro andai sul ponte, e dissi: ‘avvertite la popolazione, che qui finisce male’. Mi fu risposto, non dico da chi, che non era il caso di fare eccessivi allarmismi. Ma lasciamo perdere, sono passati vent’anni ormai. Però ricordo che, appena rientrato a Genova, formai una colonna di vigili urbani e di operai del Comune con idrovore e tornai ad Alessandria, dove rimanemmo un mese nel quartiere Orti, per aiutare la mia gente. Fu un dramma vero: ma la città seppe reagire, questo non dimentichiamocelo.
A Genova lei rimase tre anni, poi si dimise…
Mi dimisi perché ci fu chi attaccò ingiustamente il corpo dei vigili, e alcuni dei miei ragazzi, con accuse pesanti, infamanti, poi dimostratesi infondate. Non potevo accettarlo. E comunque non smisi di fare il mio mestiere. Mi chiamò il sindaco di Casale Monferrato dell’epoca, Coppo, e mi chiese di organizzare il corpo dei vigili: e quello feci, per tre anni. Per poi essere chiamato a guidare il comando dei vigili della Provincia, che aveva sede qui ad Alessandria, in corso Acqui. E quella fu la mia ultima esperienza professionale.
Accanto al suo percorso da dirigente dei Vigili, c’è da sempre la sua passione politica….oggi come vede la situazione?
Passione, dice bene. Anche per la tradizione famigliare a cui ho fatto cenno, ho sempre creduto all’impegno diretto, al fatto che, quando si può, bisogna dare una mano, e non stare a guardare. Ho avuto impegni in liste civiche, orientate a sinistra ma come indipendente, a Castelspina e a San Salvatore. E poi, a Genova, in un’altra lista civica che poi sostenne Biasotti, passato in Forza Italia.
Insomma, nella seconda repubblica lei si buttò a destra, Comandante?
Diciamo chiaramente: nella prima repubblica c’erano le ideologie contrapposte, i muri anche fisici che dividevano i Paesi. Poi è cambiato tutto, e personalmente ho sempre stimato Berlusconi come imprenditore, e credevo davvero che potesse dare una mano a modernizzare il Paese. Poi però progressivamente mi ha deluso su diversi fronti. E, per venire ai giorni nostri, ho molto apprezzato il senso di responsabilità di Alfano: sostenere prima Letta, e oggi Renzi è l’unica soluzione alternativa al disastro, al crollo totale. E’ un momento troppo difficile, in cui occorre essere uniti, e ridare fiducia agli investitori, italiani e stranieri. O sarà durissima per tutti.
Comandante Benzi, ma non è tentato di entrare in politica, in prossimità degli appuntamenti elettorali di maggio?
(sorride, ndr) Diciamo che ci ho pensato seriamente, ma lo farei solo a certe condizioni. A me piace partecipare per contare e fare le cose, non per semplice testimonianza.
Dal suo sito, www.remobenzi.it, emerge una forte attenzione per la poesia, e per la storia. Passioni recenti?
No, per niente. Direi costanti di tutta la mia vita. La poesia è uno strumento straordinario per esprimere stati d’animo, emozioni. La storia, intesa come studio degli eventi, ma anche come analisi dei reperti archeologici, ad esempio, è essenziale per capire ciò che siamo oggi. Ho un nipotino che, appena posso, porto con me a visitare musei, o anche solo a scoprire angoli di storia locale. Spero di trasmettergli la mia stessa passione….
Lei ha anche tre figlie, Comandante: ci dica se almeno una fa la vigilessa….
(ride divertito, ndr) No, purtroppo no. Una però lavora qui ad Alessandria, nella grande distribuzione. E un’altra, per fare il suo mestiere, è emigrata negli Stati Uniti: come spesso succede oggi ai nostri giovani. Mia moglie ed io abbiamo persino dovuto imparare ad usare Skype, per parlarle e vederla la sera. E certamente anche a lei l’Italia manca non poco….
Ettore Grassano