Ho ritrovato alcune stupende foto di Simone, Giorgio Simonetti, scattate dall’amica Antonella Marchini. Ve ne regalo una che lo ritrae nella sua essenza di sempre, sorniona, libera, anticonformista. Lui ci lasciò una domenica di marzo del 2009 e ben ricordo che quando si diffuse la notizia sulle prime pensammo tutti a uno scherzo proprio da lui stesso architettato. Purtroppo non era così.
Accompagno la sua immagine con uno stupendo articolo redatto nel 2004 da Franco Bolzoni. Che ovviamente parla di Giorgio da vivo, in maniera acuta, precisa e coerente. Lo licenzio senza le correzioni che il tempo trascorso magari imporrebbe. Perché Simone vive e corre ancora con noi.
Si chiama Giorgio Simonetti, fa il portiere di notte in un albergo di Courmayeur, dimostra un’età indefinibile, caratteristica di quelli che ci sono sempre stati, che sono elementi naturali del contesto che rappresentano; come i picchi delle rocce delle dolomiti, i fiumi d’argento e le betulle delle foreste canadesi, o i tratti del suo viso senza tempo, tra l’ironico, lo scanzonato e l’irriverente. Se ne intende di cucina e di vino che consuma generosamente; è un uomo colto, di una cultura personale fatta di vita e di esperienze dirette e mi è capitato di sentirlo parlare in spagnolo, francese, inglese e arabo. Fuma e mastica tabacco con la stessa cura con cui gli altri atleti dello sport estremo, valutano l’apporto calorico e gli integratori da assumere quotidianamente. Per questo e per altri motivi, di cui parleremo; di lui, si può soprattutto dire che è un essere umano irriducibile a qualsiasi categoria già conosciuta.
Quando lo ho visto per la prima volta, qualche anno fa, all’aeroporto di Malpensa, prima dell’imbarco per la Marathon Des Sables, ricordo di avere pensato di essere fuori dalla realtà e di avere di fronte a me in carne ed ossa Tex Willer, il mitico eroe dei fumetti. Normotipo, asciutto, fisico da grande fondista, vestiva un paio di pantaloni militari con relativi stivaletti ed una canottiera nera traforata che portava con assoluta nonchalance, nonostante il freddo intenso di quella giornata costringesse gli altri a tute invernali. In testa aveva una sciarpa avvolta a mò di turbante con un lembo che gli cadeva sulla spalla, l’immancabile sigaretta alla bocca.
Conoscendolo oggi, molto meglio, devo dire che è qualcosa di più e di diverso rispetto a qualche possibile personaggio da favola, come ebbe a dire Mr. Zubani per primo, vedendolo aggredire le dune del deserto con il suo personalissimo stile. Lui è “il Varano”! Così è oramai conosciuto nel mondo dei “fuori di testa” dello sport estremo. Me lo immagino qualche anno fa, all’atto della dimissione dall’ospedale, dopo la applicazione della protesi all’anca, che continua a produrre scene esilaranti a ogni controllo aeroportuale, quando il Varano in slip, riesce ancora ad attivare la suoneria del metal-detector, di fronte a funzionari increduli. Dicevo che lo vedo, quando alle raccomandazioni del medico, relative al fatto di condurre una vita morigerata, casa e lavoro, passeggiate brevi, dieta appropriata, mentre dice di sì con la testa, manda tutti a quel paese e coltiva già nell’anima una speranza assurda. Gli avevano detto di girare nel cortile e lui si iscrive alla successiva Marathon Des Sables e la finisce, poi pensa bene di partecipare anche alla Desert Cup, (180 KM in continuo nel deserto della Giordania, in autosufficienza) e la chiude con un tempo da elicottero. Non è possibile, ma non per lui.
Il passo di questo “uomo del deserto” è sbilanciato e asimmetrico. Sotto sforzo le gambe, lavorano ognuna per conto proprio, una delle due rotule, compressa dal carico del corpo, l’altra che soccorre in modo ausiliario, con un movimento cadenzato che a ogni passo fa ruotare il bacino, La camminata del Varano allora, diventa un ritmo di tango, sghembo e difficile da articolare, ma con la forza propulsiva e continua di un turbocompressore, alla faccia di tutti i principi della Biomeccanica e di tutti i medici che gli hanno detto di cautelarsi. E la sua mente, quando comincia il ballo, è capace di una assoluta concentrazione; prende questa fatica supplementare, speciale, e trasforma il dolore che comporta in una specie di sublimazione: diventa energia pura e non finisce più. Stargli dietro è come seguire una macchina da guerra che asfalta le pietraie, spiana le colline, soffia via la sabbia dalle dune.
Quando ho avuto occasione di condividere la gara con lui, non lo ho mai sentito lamentarsi, non lo ho mai visto andare in crisi, non si è mai concesso una tregua. Nella sua testa l’obiettivo è sempre scontato, il traguardo, sicuro. E io, se penso agli inconvenienti della vita, non riesco a immaginare qualcosa che lo potrebbe scomporre più di tanto. Riesce sempre a prendere sé stesso e gli altri, con la massima ironia. La perdita di una borraccia nel deserto, diventa allora, “un modo per camminare più leggeri”; la condivisione della fatica più estrema, un mezzo per fare più bello il mondo. Con lui, rappresentante di un sacco di problemi, i problemi degli altri tendono a minimizzarsi e a risolversi insieme ai suoi che tratta con assoluta sufficienza. Quanta strada bisogna avere fatto, e quanto dolore bisogna avere macinato, per arrivare a queste conquiste.
Ciao, Varano!