In una delle recenti visite ad Arquata Scrivia con mia figlia, ho portato sia Elena che Claudia a vedere l’unico monumento del paese, ovvero la Torre; nonostante una amministrazione comunale del recente passato abbia ristrutturato tutta la zona dei prati antistanti la vecchia torre ed il posto fosse mantenuto fin troppo bene per gli standard italiani, non ho potuto fare a meno di constatare con tristezza che quando io avevo l’età di mia figlia alle sagre paesane organizzate dalla Pro Loco andavano centinaia di persone, mentre adesso persino a Tortona si fatica a riempire una piazza in occasione di una festa patronale.
Per fortuna però per noi appassionati di calcio esistono le squadre di terza categoria, che il più delle volte non giocano in uno stadio vero e proprio ma nel «campo sportivo comunale», locuzione che comprende diverse locazioni dalla tribuna coperta con illuminazione e bar all’ex campo coltivato a rotazione ed espropriato con astuta mossa padronale durante le elezioni di pochi anni prima e pubblico sparpagliato intorno alle reti di recinzione dello stesso.
Capita così che approfittando delle prime serate con un clima tutto sommato accettabile prima che le zanzare riappaiano ci siano squadre che chiedono l’anticipo serale al sabato ore 20.30 per giocare la loro partita e squadre che glielo concedono: Fresonara-Tiger Novi – scontro fra la prima e l’ultima in classifica nel girone alessandrino della Terza Categoria – si è così disputato in una cornice di pubblico più numerosa della media, e soprattutto ho finalmente potuto vedere giocare formazioni che finora conoscevo solo a livello statistico, data la contemporaneità delle loro partite con quelle dei campionati maggiori.
Poco da dire sull’incontro in sé, un 5-0 forse persino troppo «cattivo» per l’atteggiamento della Tiger Novi che rimasta sotto di due gol e un uomo aveva abbondantemente tirato i remi in barca cercando di evitare la goleada, moltissimo interessante invece il contesto. Per arrivare alla tribuna coperta, infatti, bisognava passare davanti a quelle che una volta erano le «aree attrezzate per le sagre estive» con bar in legno, tavolini in plastica tondi disponibili con ombrellone o sotto il pergolato con il glicine, barbecue per grigliate di dimensioni pantagrueliche e tensostruttura ottagonale con fondo in cemento per ballare e palco attualmente occupato da un calciobalilla. Una madeleine proustiana dei miei cinque anni che mi ha disorientato al punto che arrivato al bancone – ero l’unico cliente, sapevano che ero un giornalista e devono avere pensato che fossi fatto come una biglia – stavo per ordinare un ghiacciolo all’anice frugando nei pantaloni alla ricerca delle duecento lire anzichè le due birre concordate con il collega in tribuna.
Non so se è stato il tasso alcolico salito vertiginosamente in pochi minuti, ma ho ricordi sparsi della gara che avrebbero potuto valere il prezzo di un eventuale biglietto: la «curva degli ultras» casalinga seduti sulle sedie in plastica di cui prima messe dietro una delle due porte che mi squadra appena arrivato manco fossi in un film di Sergio Leone; un bambino che in occasione di una superparata del portiere urla «Bravo, papà!»; un inquietante interrogativo come «Perche non gli esci il cartellino, arbitro?»; il 41enne Guglielmi che ne piazza due, arriva a quota 21 senza rigori, e corre come un ragazzino fino alla meritatissima standing ovation.
Tornando a casa mi sono perso – come all’andata, peraltro – nelle stradine di campagna fra Fresonara e San Giuliano Vecchio, ma anzichè tirare fuori il GPS ho abbassato il finestrino, acceso Montecarlo Nights, e cercato di annusare quanto più possibile l’odore dei campi intorno.