“Ma no, di Novi cosa vuole che le dica: ormai sono uno straniero, di questa città non so più nulla”. Di solito chi fa premesse simili cose da dire ne ha, eccome. E, nel limitato spazio di un fugace incontro al bar, tra una coincidenza ferroviaria e l’altra, il professor Franco Contorbia, vera ‘eccellenza’ novese, ci concede una chiacchierata informale e amichevole, sospesa tra l’amarcord locale, l’attualità politica e il giornalismo di ieri e di oggi.
Per presentare ‘a tutto tondo’ una figura come quella di Franco Contorbia ci vorrebbe ben altro che un articolo di giornale, dal momento che la qualità del suo percorso di studi e i suoi scritti lo collocano tra gli intellettuali di prima grandezza del nostro Paese. Riconosciuta ‘autorità’ nel campo della letteratura italiana, grande studioso di Eugenio Montale (ma anche di figure come Edmondo De Amicis, Franco Antonicelli, Giovanni Boine), Contorbia ha ‘segnato’, negli scorsi decenni, anche la vita politico-culturale novese (fu insignito tra l’altro, nel 2009, della Torre d’Oro, prestigioso riconoscimento che Novi riserva ai suoi figli più illustri), e del resto della provincia: basti pensare ai suoi fondamentali contributi nell’ambito del Festival della Letteratura di San Salvatore, terra d’origine di un altro importante studioso di letteratura come il professor Elio Gioanola.
Insomma, Contorbia è e rimane un novese ‘doc’, orgoglioso delle proprie radici e del proprio ‘vissuto’. Lo incontriamo in un bar sotto ‘i portici vecchi’ della città, accompagnato da due suoi cari amici. E anche la confidenza con cui nel locale si rivolgono a lui (“professore, lo dica lei a chi comanda: qui bisogna cambiare registro davvero, altrimenti è dura…”) testimonia l’esistenza di un filo di ‘appartenenza’ che non si è mai spezzato. E, naturalmente, durante la conversazione emerge anche il Contorbia storico del giornalismo, autore di un’opera in quattro volumi dedicata al ‘mestieraccio’ (edita da Mondadori) che rappresenta un unicum nel panorama editoriale italiano.
Professor Contorbia, partiamo dalla Novi di ieri: lei è cresciuto qui, e ci ha fatto anche politica, fino ad un certo punto…
Come no, e per me Novi rimane la città, casa mia e ‘il luogo’ per eccellenza: oggi purtroppo per tanti versi divenuto un ‘non luogo’ degradato e anonimo, anche se so di non dire niente di originale. Comunque sì, feci anche politica, e fui consigliere comunale per tutti gli anni Settanta, e poi anche assessore (e per qualche settimana persino vice del sindaco Pagella). E qui ho avuto e ho tuttora amici molto cari. Me ne faccia ricordare uno che non c’è più, e che fu persona ‘speciale’ per tutta la mia generazione: il grande Giancarlo Cabella (detto ‘Kafka’, come ricordano diverse cronache, giornalistiche e non, ndr).
Lei era socialista, in una città dove il Pci fu largamente egemone…
Confermo, ero socialista di sinistra, lombardiano come si diceva allora: e nel 1981 feci il bel gesto, restituii la tessera e me ne andai, per solidarietà con Tristano Codignola, ‘cacciato’ dal partito da Bettino Craxi. Ma sono storie vecchissime….
E da allora ha smesso con la politica attiva?
Sì, completamente. Sono rimasto un elettore di sinistra, un po’ ondivago nel senso che nel tempo ho votato per diversi partiti. Ma mai per il Pd, anticipo la sua domanda: neanche prima che arrivasse Renzi intendo. Adesso poi, non parliamone nemmeno!
Eppure lei professore è pure fiorentino di adozione da tanti anni….
E che vuol dire? Mica tutti i fiorentini sono renziani, mi creda. Io vivo a Firenze ormai da trent’anni, e Renzi l’ho in effetti visto all’opera prima in Provincia, poi in Comune. E’ un uomo spregiudicato, che sa quel che vuole, bravissimo ad alimentare il mito di se stesso. Come la storia del sindaco amatissimo, e che avrebbe ottenuto chissà quali risultati, appunto.
Ora molti, anche non renziani, lo presentano comunque come l’ultima spiaggia: come se l’alternativa fosse il precipizio.
Non so dirle quale sia l’alternativa, e quale futuro attenda il nostro Paese, che è davvero mal messo. Ma mi pare evidente, per quel poco che ancora posso capire di politica, che le vere decisioni di questo governo, come dei due precedenti, non vengono prese a Roma, ma altrove. Il che magari non è neanche un male, perché il gruppo di cui si è circondato Renzi mi sembra davvero debole, quanto a competenze.
Torniamo a Novi allora: la sua generazione ‘produsse’ un numero di intellettuali di valore (oggi al culmine della carriera accademica in diverse università di tutta Italia) assolutamente anomalo per una piccola cittadina di provincia. C’è una spiegazione per tutto ciò?
(sorride, ndr) Se c’è, io non la conosco. E’ vero comunque che Novi ha prodotto, nelle leve fra il 1942 e il 1948 più o meno, un bel numero di docenti universitari, in tante discipline diverse. Non facciamo nomi per non dimenticare nessuno, ma certamente almeno 10 o 12 persone. Peraltro c’era già stato qualche illustre caso precedente, e ce ne sono stati dopo naturalmente. Anche se non con la stessa frequenza, in effetti.
Professor Contorbia, lei ha insegnato e insegna Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea all’Università di Genova, ma è anche autore di una ‘monumentale’ Storia del giornalismo italiano, in 4 volumi, pubblicati con Mondadori. Cosa pensa dell’agonia in cui sembra dibattersi, da anni, l’editoria giornalistica italiana?
Chiariamo: io sono un italianista, e il mio mestiere è sempre stato appunto studiare la letteratura italiana. Poi ad un certo punto, in età non più ‘verde’ e per una serie di incontri e circostanze, mi è stato proposto di occuparmi per Mondadori di un volume sulla storia del giornalismo italiano, che poi in effetti sono diventati quattro. Dalle origini, fino al 2001. E poiché, negli ultimi 10 anni, molto è cambiato, e spesso anche ‘crollato’, non so onestamente prevedere quale sarà il futuro dell’informazione, in rapidissima evoluzione. Ricordo però che, durante una presentazione dell’opera all’Università di Bergamo, Gianni Riotta disse: “Contorbia ha eretto un grande monumento al giornalismo italiano: ma è un monumento funebre”. E ricordo anche che mentre lo diceva Riotta era di un’eleganza impeccabile, ma tutto vestito di nero: il becchino sembrava lui, insomma….
Ma un quinto volume dell’opera, sull’ultimo decennio e l’editoria digitale, lo vedremo mai?
No, lo escludo. Però sto lavorando ad un altro progetto ambizioso, che dovrebbe andare in libreria a tarda estate, o in autunno, sempre con Mondadori. Ossia una raccolta di scritti del grandissimo giornalista Bernardo Valli, che vanno dal 1956 al 2014. E le assicuro che la ricerca, soprattutto per i testi antecedenti al 1966, è stata impresa titanica, e ho lavorato nelle biblioteche, tra Firenze e Genova, senza spesso poter contare neppure su indicizzazioni di tipo elettronico. Ma per una produzione come quella di Bernardo Valli, grande testimone del nostro tempo, capace di narrazioni efficaci, e di analisi lucidissime sui grandi eventi internazionali, ne è valsa la pena. Ecco, quello è un tipo di giornalismo di approfondimento che non dipende solo dallo strumento di divulgazione (carta, web o altro), ma raggiunge un livello tale di qualità e profondità da continuare a fare la differenza, rispetto all’informazione superficiale, usa e getta, a cui oggi siamo abituati. Ma Valli, per capacità di scrittura e di analisi, è certamente oggi l’eccezione, non la regola.
Ettore Grassano