Inutile carrozzone burocratico, o cabina di regia per lo sviluppo del territorio? L’eliminazione delle Camere di Commercio, che «non fanno nulla di male di solito, ma raramente fanno anche qualcosa di buono, a essere sinceri», è uno dei cavalli di battaglia del premier Renzi, nell’ambito del suo progetto di snellimento e semplificazione di quel pachiderma lento ed inefficiente che è, in effetti, lo Stato italiano, con annessi e connessi.
Poiché, invece, da un po’ di tempo in qua (e in particolare dall’insediamento del nuovo presidente Coscia) si ha l’impressione che la Camera di Commercio a casa nostra abbia sempre più l’ambizione di porsi come perno di una nuova progettualità del territorio (cabina di regia è il termine che qualcuno ha coniato, e che in diversi hanno utilizzato nei mesi scorsi), il tema meriterebbe probabilmente una riflessione articolata, da parte di esperti assolutamente più autorevoli di noi, che ci limitiamo a ‘lanciare il sasso’.
A cosa serve davvero la Camera di Commercio? Cosa fa, e cosa potrebbe fare a beneficio delle (tantissime, nonostante la crisi e le difficoltà) imprese del territorio? E’ un tema importante, di quelli da non liquidare in due battute.
D’accordo, la sua esistenza implica un esborso annuo che va “da 88 euro per le piccolissime imprese a 30-40mila per quelle molto grandi”. E magari poi impone una serie di obblighi che, soprattutto per le micro-imprese, sono semplicemente ulteriori balzelli, senza benefici reali.
Ma, d’altro lato, questi enti autonomi di diritto pubblico come possono incidere sul futuro di questo martoriato Paese? E, nello specifico, qual è la capacità di reale intervento della Camera di Commercio di Alessandria, che si ritrova a dover rappresentare, lo sappiamo bene, una provincia ‘policentrica’ e assolutamente poco omogenea come la nostra, con diversi distretti che poco o nulla hanno a che spartire tra loro?
Proveremo, prossimamente, a capirlo meglio. E seguiremo con attenzione le intenzioni di Matteo Renzi: sperando che il nuovo premier si renda conto che non basta lanciare proclami (via le Province, il Senato, le Camere di Commercio, ecc), ma occorre per ognuno di questi processi individuare dei percorsi chiari, in termini di costi/benefici, e soluzioni alternative. I rischi, in caso contrario, sono la demagogia dal respiro corto, e il caos.