Incontriamo Gianni Baretta (nella foto) in un bel pomeriggio di primavera nella sede dell’associazione culturale Il Triangolo Nero, situata in un “piccolo cantone” nascosto nel cortile di una bella casa d’epoca nel centro di Alessandria.
Baretta, che dell’associazione è direttore e coordinatore, ci accoglie con un sorriso e una stretta di mano, portandoci subito a visitare la sala in cui è ospitata buona parte della mostra (assolutamente da vedere) del pittore torinese Piero Rambaudi.
Ci scambiamo alcune impressioni sui quadri in mostra, in un attimo l’estraneità si scioglie e passiamo subito al “tu”, quasi senza accorgercene. Segno di come l’arte e il suo linguaggio, tanto affascinante quanto misterioso, possano accorciare le distanze e avvicinare le persone.
Gianni, come è nato Il Triangolo Nero? Partiamo dal nome…
Il Triangolo Nero si chiama così perché la nostra prima sede, sempre nel cortile di questo palazzo, era proprio a forma di triangolo. Il nero, poi, è il colore della grafite e del carboncino, e quindi il nome è venuto da sé.
La storia della associazione è una storia molto lontana, che inizia il 21 marzo 1987 con la nostra prima mostra. Abbiamo ospitato una fotografa torinese, Mariolina Mottura, che aveva fatto una strepitosa ricognizione su un bene culturale che noi tutti amavamo, la chiesetta Trinità da Lungi di Castellazzo.
L’idea, mia e di chi ha cominciato con me, era di avere una certa attenzione ai beni culturali e agli artisti alessandrini che già esponevano in gallerie private (mentre noi siamo un’associazione culturale senza scopi di lucro), con operazioni che riguardassero la loro parte meno conosciuta, l’arte segreta, quella che io chiamo l’arte “nei cassetti”. Se di un artista, per esempio, vedevamo un olio su tela, allora andavamo subito a cercare i disegni di preparazione, le cose più raffinatamente nascoste. Queste erano le linee base di allora: andare a cercare quello che non riuscivamo a trovare altrove. Devo dire che questo indirizzo per noi è valido ancora oggi.
Quando si maneggia l’arte, spesso si rischia di cadere in una sorta di elitarietà. E’ una definizione che si può applicare anche a del Triangolo Nero?
No, è una definizione che contesto, almeno nelle intenzioni. Noi abbiamo sempre fatto cose aperte a tutti, anche se le nostre scelte sono sempre state abbastanza riservate, diventando, in alcuni casi, per pochi intimi. In questo senso Dino Molinari, nostro presidente e grande critico e appassionato d’arte, ha sempre detto che l’arte contemporanea è una faccenda per pochi.
L’elitarietà, ad essere sinceri, sta in una dimensione culturale nostra che va a cercare le cose che non troviamo da altre parti. Grazie ad amicizie e rapporti coltivati nel tempo ci è stato possibile portare ad Alessandria artisti importantissimi, in questi quasi trent’anni di attività. Poche associazioni possono vantare una longevità così estesa, ancora ricca di verve e iniziativa.
Adesso parliamo un po’ di Gianni Baretta artista…
Come artista sono “nato” intorno al 1973, anno in cui decisi di lasciare gli studi di medicina per dedicarmi, completamente e professionalmente, al fare arte sull’onda delle grandi mostre che visitavo con grande curiosità a Genova, la città in cui studiavo. Da quel momento ho cominciato a frequentare altri artisti e a fare mostre, assai numerose nei primi anni della mia attività.
Hai avuto un maestro, in particolare?
Non ho frequentato accademie, ma ho studiato essenzialmente sui libri. La mia grande fonte di ispirazione, la passione iniziale, è stato il maestro dei maestri, quello che ha insegnato veramente, nel Novecento e al Novecento, ad aprire e aprirsi su tutti i fronti, ad avere grandissima libertà. Ancora adesso per me il “maestro inarrivabile” è Paul Klee. Dalla scoperta del suo mondo è nato tutto il mio lavoro.
Il tuo lavoro ha conosciuto diverse tappe o, per meglio dire, evoluzioni. Ce le racconti?
La mia curiosità infinita nel provare e nel conoscere mi ha portato a una ricerca pittorica con sfaccettature infinitamente labirintiche, con tante esperienze. In questo solco si è innestata la mia passione per i libri d’artista, con produzioni maniacalmente manuali.
Di che si tratta?
Poco prima della nascita de Il Triangolo Nero, io e alcuni amici, come Dino Molinari, Paolo Belletti, Sandro Gastaldi e alcuni poeti in ambito torinese, pensammo di fondare una piccola casa editrice di libri in pochissimi esemplari, tutti rilegati a mano in stile giapponese, dove si accostavano testi di poesia con illustrazioni e opere d’arte. Il primo libro, pubblicato nel 1978 in 11 esemplari, lo dedicammo ad Adelio Ferrero, grande intellettuale e critico cinematografico alessandrino, che morì di lì a poco. La casa editrice si chiamava “Le Edizioni del Piombino”, perché il cordino della rilegatura veniva stretto e legato con il piombino del salumiere.
Terminato questo periodo, ho lavorato da solo con un’altra sigla, “I libri della luna nera”, espressione che voleva indicare la ricerca della faccia nascosta, non visibile, dell’editoria. Le scelte culturali si orientarono in questo caso più sulla narrativa che sulla poesia, con illustrazioni molto classiche. Anni e anni di lavoro, che adesso sono stati rigorosamente accantonati…
In che senso “accantonati”?
In questi casi, ma non solo in questi, quando qualcosa finisce, finisce davvero. E’ una stagione ormai alle spalle, una stella che si spegne. Non avevo più niente da dire o da dare, in quel campo.
E in seguito che cosa è successo?
Da quel momento in poi si è aperta l’attività espositiva de Il Triangolo Nero, che mi ha subito assorbito moltissimo. Qui la responsabilità delle scelte è mia, e questo privilegio mi ha permesso di conoscere tanti eccellenti artisti. La qualità del lavoro, lo dico con un certo orgoglio, ci ha aperto le porte di personaggi anche importanti, che vengono qui volentieri a fare piccole mostre. E tutto questo lo facciamo senza avere grandi spazi espositivi. Penso, per esempio, alla mostra di Rambaudi che ospitiamo proprio in questi giorni. Con poche opere siamo riusciti a dare un’idea consistente dell’artista.
So anche che coltivi una grande passione per le incisioni…
Questo “innamoramento” nasce nel 1980, quando fui spinto, quasi trascinato, all’incisione dal mio grande amico Pietro Villa. Lui aveva il torchio a Pecetto di Valenza (ndr: il torchio di Pietro Villa adesso è nella sede della associazione), e con lui ho imparato a stampare. Poi ho studiato, cercando di andare oltre ai suoi insegnamenti, e allo stato attuale, ho prodotto più di 800 incisioni, un numero decisamente e insolitamente alto per un incisore.
In questo campo ho potuto sperimentare tecniche diverse e particolari. Mi sono sempre definito un incisore “selvaggio”, perché ho fatto scelte, per esempio nel modo di produrre le acquetinte, che i puristi dell’incisione magari non approverebbero. Credo che nell’arte occorra sempre osare e mettersi in discussione, altrimenti si rischia di fare accademia di se stessi.
A proposito di incisioni… è vero che esiste ad Alessandria un Gabinetto Stampe? Di che si tratta?
Con Villa avevamo pensato che non sarebbe stato male raccogliere le incisioni fatte e farne un Gabinetto Stampe, nella dizione francese del termine, ossia “Cabinet des Estampes”. Sto parlando dei mitici Gabinetti Stampe che possiamo trovare al Louvre, agli Uffizi a Firenze, o al Gabinetto Viesseux di Palazzo Strozzi, sempre a Firenze.
Ad Alessandria il Gabinetto delle Stampe è nato una decina di anni fa grazie alla lungimiranza di Giulio Massobrio e Daniela Causa, che nel mettere a punto il lavoro che avrebbe portato alla costruzione dei percorsi del Museo Civico a Palazzo Cuttica, avevano pensato di dedicare una sala, un po’ decentrata, dedicata a questi materiali raccolti grazie alle amicizie con artisti che volentieri hanno donato la loro opera, molte volte omnia. Nel giro di pochi anni abbiamo raccolto un corpus di opere grafiche che supera i 2000 fogli, cifra veramente ragguardevole.
Che fine ha fatto tutto ciò?
Il Gabinetto Stampe continua ad esistere. Progettiamo e facciamo mostre con i materiali raccolti, invitando molti degli artisti che noi chiamiamo “peintres-graveurs”, come li definiva Paul Valéry. Penso a gente come Francesco Franco, Enrico della Torre, Guido Navaretti, Marina Bindella e tanti altri.
Oggi a che punto siamo?
L’attività continua, pur nel silenzio che alcuni amministratori hanno riservato a questa importante attività che, lo ripeto, è praticamente a costo zero. Escludendo l’assessore comunale alla cultura Vittoria Oneto, ben consapevole del nostro lavoro, agli altri amministratori non interessa affatto che tutto questo si faccia oppure no.
Qual è il motivo di questo atteggiamento, a tuo avviso?
Spero che nessuno si offenda, ma è un atteggiamento dovuto a ignoranza, nel senso letterale del termine. Ignoranza delle cose che abbiamo, una ricchezza di migliaia di opere che danno lustro alla nostra città, oltretutto a costo zero. Anche per la recente mostra di Mario Surbone, un grande artista di origini alessandrine che ha donato quasi 130 opere al Museo di Alessandria, all’inaugurazione non è venuto neanche un amministratore a ringraziarlo per il gesto generoso nei confronti della città. Sono cose che fanno un po’ male… siamo dissestati anche in questo, secondo me. La città non ha forza di captare le cose importanti, a tutti i livelli.
La prossima mostra de Il Triangolo Nero?
Sabato 5 aprile alle 18, nella nostra sede di corso Cento Cannoni 16 ad Alessandria, inaugureremo la mostra dello scultore romano Ettore Consolazione. Il titolo della mostra è “Punto Linea Punto” e il sottotitolo, che dice molto, è “La scultura tra gioco e progetto”. Sarà presente anche l’artista, amico nostro da tanti anni. L’ingresso è libero… e naturalmente siete tutti invitati!
Andrea Antonuccio