Nel giro di poche settimane hanno iniziato a moltiplicarsi come funghi le società che gridano all’indifferenza delle strutture istituzionali, al disimpegno degli investitori che a inizio stagione avevano promesso sostanziosi finanziamenti, alla mancanza di serietà dei giocatori il cui impegno decresce via via che ci si avvicina alla fine del campionato o peggio ancora una volta raggiunto l’obiettivo di inizio stagione.
Niente di nuovo sotto il sole, diranno i più beneinformati, ma una differenza c’è, ed è sostanziale: questo tipo di proclami solitamente trovavano spazio nelle pagine sportive estive dei giornali locali, e servivano – oltre che a riempire vuoti altrimenti destinati alla pesca di un luccio gigante o alla incredibile zucchina nel campo vicino ad una industria chimica – a smuovere un po’ le acque per ricordare a tutti la propria esistenza nella speranza che qualche genitore in più portasse il proprio piccolo Platini ad iscriversi nelle giovanili della squadra del luogo. I soldi per l’iscrizione e in molti casi per l’allestimento di formazioni di categoria non sono mai mancati nelle piazze «storiche», e a prescindere dall’eventuale fallimento sportivo – posto che sarebbe anche il caso che molte tifoserie realizzassero che l’attuale categoria non è un diritto divino acquisito e che si può sopravvivere anche ad un paio di campionati nella serie immediatamente inferiore – la continuità sportiva era assicurata.
Nel giro di pochi anni invece sono scomparse realtà solide come Stazzano (dalla Terza Categoria alla Prima con un pubblico sovradimensionato e per certi versi spettacolare sempre presente prima che i daspo lo limitassero) o Vignolese (dalle cui ceneri è nata la spettacolare Arquatese di questa stagione), e si sono dovute unire per sopravvivere anche quelle coppie di squadre del medesimo paese da 3.000 o poco più anime nate da scissioni, litigi o semplice voglia di emulazione. Penso a Pontecurone, che è passato dall’avere due squadre in Prima Categoria ad averne una che sopravvive in Terza, a Castelnuovo che almeno ha mantenuto la categoria, all’Alta Val Borbera, fusasi prima con il Cabella, poi con il Villalvernia che ora si chiama Tortona Villalvernia e milita in Eccellenza. Ricordo la meravigliosa parabola sportiva di società come il Sarezzano (un anno di Prima Categoria prima dell’oblio), della Tagliolese (idem, anche se si è fusa nella Silvanese), della Bevingros Eleven che dopo avere riscritto i record in Terza e Seconda categoria ha fallito l’assalto alla Promozione due volte prima di scomparire.
Il destino di molte di queste società è stato legato a quello di un presidente-padrone disposto ad investire in loro finchè ne ha avuto la voglia o la possibilità: esistono però anche virtuosi esempi di come anche una volta perso questo cordone ombelicale sia possibile continuare ad esistere. Qualche mercoledì fa ero a Castellazzo Bormida a vedere una partita della squadra locale che dall’arrivo di mister Lovisolo ha una media punti da promozione diretta e che sta lottando con le unghie e con i denti per agganciare almeno i playoff: quando il buon Gaffeo si è spostato su altri lidi, rilevando la Novese di Marletti e riuscendo nell’impresa – più che di riportarla in D e salvarla – di far tornare i novesi allo stadio, i dirigenti rimasti si sono rimboccati le maniche ed hanno ricominciato a fare calcio con quello che i loro mezzi gli permettevano, e lo hanno fatto benissimo. Quest’anno festeggeranno una salvezza che significa una lunga permanenza in Eccellenza, e poi progetteranno la prossima stagione con lo stesso entusiasmo e la stessa competenza, senza piangere miseria e accogliendo gli aiuti che arrivano spontaneamente più che quelli arrivati per compassione.
Un pezzo di «vecchio calcio» che rimane, sperso nella campagna come quegli agriturismi veri dove mangi le cose buone di una volta.