di Giancarlo Patrucco
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Permettetemi di riepilogare brevemente le vicende politiche di questi ultimi, frenetici giorni, tanto per partire dai dati di fatto relativi alle manovre previste dal governo Renzi e fare memoria di ciò che, sugli stessi argomenti, si è fatto e spesso non si è fatto negli anni precedenti. In questo modo, avremo una base di partenza, spero, condivisa dai più. Dico “spero”, perché ormai questo Paese è travolto da faide e da contrapposizioni che sono sempre meno trasparenti e sempre meno si prestano ad essere separate dai fatti. Anzi, spesso ai fatti si sostituiscono, deformandoli e impossessandosene per piegarli a interessi parziali, in una guerra per lobbies bande cosche gruppi e gruppetti che imperversa e dilaga con l’appoggio, anche qui non sempre adamantino, dei media.
Di una legge elettorale seria, che contemperi le esigenze della democrazia con quelle dell’efficienza, si parla da vent’anni. Vent’anni spesi a tirare la corda da una parte e dall’altra, partorendo mostri a cui sono stati appioppati i nomi più strani. Ultimo, e più vituperato, il “porcellum”, sistema elettorale che per bocca dei suoi stessi proponenti era uno schifo di legge, ma serviva a impedire al centrosinistra di vincere la tornata elettorale con Prodi saldamente assiso sulla poltrona del Presidente del Consiglio.
Negli ultimi otto anni sul “porcellum” abbiamo sentito di tutto, ma le forze politiche, di destra di sinistra e di centro, non sono riuscite a mettersi d’accordo su qualcosa di meglio, nonostante i moniti del Presidente della Repubblica e l’evidente impossibilità – voluta – di permettere di governare a chiunque. Sono nati da questa costola, quindi, i governi tecnici e quelli delle larghe intese che hanno massacrato il Paese di un rigore senza precedenti, ligi ai richiami di Bruxelles ma sempre attenti a quelli delle varie caste. Risultato: un ceto medio distrutto dalla tassazione nazionale e locale, un settore autonomo ridotto a chiudere botteghe ed esercizi commerciali, una caduta verticale dei consumi e una spaventosa lievitazione della disoccupazione e delle fasce di povertà.
Poi, arriva uno da Firenze, vince le primarie del maggior partito del Paese, il PD, da segretario balza al posto di premier e si mette a correre per recuperare il ritardo accumulato nei decenni. Non avrà la sagacia di Togliatti, non avrà il carisma di Berlinguer, non sarà uno statista come De Gasperi, ma pregherei i nuovi Togliatti, Berlinguer e De Gasperi di farsi avanti. Finora, non ne abbiamo traccia concreta agli atti.
Renzi individua subito le priorità del suo governo. D’altronde, non è una scelta difficile. Nello sfacelo generale, balza agli occhi che due sono i percorsi, da seguire in parallelo: uno, quello istituzionale, deve portare ad una legge elettorale chiaramente maggioritaria, che ci dia un vincitore certo alle prossime elezioni, l’abolizione del bicameralismo perfetto, la revisione di quel groviglio di autonomie locali dove la politica pesa, conta ma soprattutto incassa. Gli scandali delle spese pazze sono lì tutti i giorni a dimostrarlo; il secondo percorso deve rimettere in carreggiata l’economia, rimodellare le stazioni economiche del Paese, trovare un nuovo equilibrio sociale, meno sfacciato a vantaggio dei pochi ricchi, più aperto all’innovazione e alla flessibilità, più attento e sensibile ad aprire spazi per i giovani che sono ormai la prima emergenza sociale e quelli destinati a pagare il disastro del debito pubblico accumulato a loro spese.
Dicono tutti, parti sociali, commentatori economici, forze politiche, Europa, che occorre una terapia shock. Una terapia per malati gravi, gravissimi, perché l’Italia è sempre davanti al baratro, sempre in pericolo, sempre in recessione, anche se molti altri Paesi del mondo ne stanno uscendo e qualcuno, oltre alla luce del tunnel, fuori ha cominciato a trovare pure i quattrini.
In 15 giorni, Renzi aggredisce la priorità istituzionale. Trova un accordo con chi ci sta e presenta una proposta di legge alla Camera. Succede il finimondo: le liste bloccate, il premio di maggioranza, le soglie di sbarramento finiscono sotto il tiro incrociato di chiunque ha disapprovato fin dall’inizio e di chiunque, pur avendo approvato l’impianto generale, fa le pulci a quel che non gli piace o non gli conviene.
E’ lecito dedurne che molti sono più interessati a battere Renzi, piuttosto che a vedere finalmente realizzata quella legge elettorale che tanto hanno strombazzato? Credo proprio di sì. La spia del mio convincimento è rappresentata dalla strenua “battaglia” sulle quote rose. Ora, è evidente che questo è un tema sensibile in un Paese come il nostro, dove viene ammazzata una donna ogni tre giorni, dove le donne, a parità di qualifica, prendono meno degli uomini, dove gli uomini salgono le scale del potere e del successo con una certa disinvoltura, mentre le donne arrancano tra servizi all’infanzia insufficienti e il peso del doppio lavoro, ufficio e casa.
Figuriamoci se non sono d’accordo. Ma devo anche far notare che ricorrere a una legge per combattere il malcostume non è proprio l’antidoto migliore. C’è un altro sistema, ben più coerente e conseguente, che permette di raggiungere gli stessi risultati con esiti persino migliori: quello di insistere perché la parità di genere venga introdotta negli statuti di tutte le forze politiche. Diventi costume politico, prima di diventare costume parlamentare.
Ho osservato con occhio critico tutti quegli abiti bianchi che si aggiravano tra i banchi della Camera, Alcuni, perché rappresentavano il simbolo di un’imperfetta gestione della democrazia interna a molti partiti, altri perché sapevano troppo di manovra pretestuosa, cavalcata da chi voleva dare uno schiaffo a Renzi e fargli capire che non era passato, neppure all’interno del suo stesso partito. Bianco per farlo andare in bianco, se mi permettete il gioco di parole.
Ma la situazione, già pesante, peggiora ancora quando il Presidente del Consiglio aggredisce la seconda priorità, quella economico-sociale. Qui, tutti, fuori e dentro la partitocrazia, danno il meglio di loro. Ho assistito a riprese tv in diretta da Montecitorio, a talk show su ogni emittente e a qualunque ora, a presentazione di prime pagine di giornali orripilanti, a interventi di parti sociali, economisti, liberi pensatori, singoli o in nome collettivo dirne tutto e di più. In qualche caso esprimendo obiezioni e critiche fondate, ma nella stragrande maggioranza tirando fuori pistolotti retorici, osservazioni palesemente infondate, richieste assurde e proposte strampalate.
Ha fatto una televendita. Che orrore quei cartelli di propaganda. Finora ha fatto solo annunci. Racconta balle. Non lo farà mai. E giù coi due tormentoni principali: dove li prende i soldi, eh, dove li prende? Non ci sono le coperture. O sfonda il parametro del 3%, oppure non va da nessuna parte. Sì, ma se sfonda il parametro, aumenta il deficit, quindi il debito, quindi adesso distribuisce una mancia elettorale e dopo dovremo coprire il buco con nuove tasse. E, poi, mancano gli incapienti, mancano gli autonomi; quelli sì che hanno bisogno, mentre lui si è preoccupato solo della sua base elettorale. Quanto ai pensionati, il commissario Cottarelli ha parlato di un nuovo balzello su quelli che prendono dai 2500 euro in su. Netti? No, lordi. Capiterà, dunque, che quegli 85 euro che un lavoratore avrà nella busta paga da maggio saranno i proventi di uno scippo a suo nonno.
Che roba! Che perversione!
Non ho abbastanza spazio per rispondere a tutte queste obiezioni e – lasciatemelo dire – neanche voglia di farlo, visto che molte sono sciocchezze senza senso e senza significato. Parole in libertà, da uno schieramento all’altro,Insopportabi tutti intesi a espellere quel Renzi, quel corpo estraneo non solo dentro il suo partito ma nell’intera partitocrazia nazionale. le contafrottole, che pretenderebbe di cambiare l’Italia. Che assurdità! L’Italia non può cambiare, altrimenti tutto si disfa e niente sarà più come prima. Se vince lui, sparirà quel mondo a cui lorsignori sono affezionati e nel quale si sentono piuttosto bene.
Ma ci ha messo la faccia, vivaddio. Ha detto chiaramente, e lo ha ribadito più volte, che se non raggiungerà i suoi obiettivi non se ne andrà soltanto da Palazzo Chigi. Se ne andrà dalla politica. Mi par di sentire le risposte silenziose: meglio. Un motivo in più per farlo deragliare.
L’ultimo pensiero, però – permettetemi – voglio dedicarlo alla Comunità e alla sua Commissione. A Bruxelles si dicono ancora più assurdità di quelle che sento a casa nostra. Tu ti presenti, annunci le manovre che hai in preventivo, loro ti danno una pacca di incoraggiamento sulle spalle e poi corrono davanti ai microfoni per raccomandare rigore. Tu presenti in Parlamento il pacchetto istituzionale e loro ti rimettono nella lista dei cattivi perché rappresenti un Paese pieno di squilibri. Tu annunci un piano di portata storica per ridurre quegli squilibri, anch’essi storici, e loro ti bacchettano perché non stai facendo nulla per ridurre il debito.
A che gioco giochiamo? Dobbiamo passarci sopra perché il vostro mandato è in scadenza, oppure dobbiamo passarvi sopra con un caterpillar per far capire ai governi del “Nord” che non ci stiamo?
Oltretutto, il vostro atteggiamento, tra il patriarcale e il saccente, attira sempre più elettori verso le liste antieuropee, dove sta di tutto. Ci sono fascisti, sfascisti, isolazionisti, separatisti, nazionalisti, agit prop. E’ lì che volete portare l’Europa?
Certo, se in Italia statisti come De Gasperi non se ne vedono, neanche in Europa abbondano gli Adenauer. L’Europa dei popoli non si fa nel ridotto della Bce, ma uscendo per le strade.