Palazzo Ghilini: de profundis per la Provincia [Controvento]

Palazzo Ghilinidi Ettore Grassano

Non è stato proprio un funerale, ma il clima mesto e luttuoso era quello, ieri pomeriggio al consiglio ‘aperto’ sul futuro delle Province italiane (intese come enti locali), e della nostra in particolare.

Per quanto Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino, ma anche dell’Upi, alla fine abbia avuto un rigurgito di non si sa quanto autentico ottimismo, il clima per tutte le due ore del dibattito è stato da de profundis. Con l’imbarazzo aggiuntivo peraltro (ma pare sia ormai chic e d’uopo far finta di nulla…) di trovarsi per l’ennesima volta di fronte ad un dibattito tutto interno al Partito Democratico.

Questo, nell’ordine, l’elenco dei relatori intervenuti: Marco Orlando (tecnico, dirigente dell’Unione Province Piemontesi), Antonio Saitta (Pd), Andrea Oddone (Pd), Federico Fornaro (Pd), Daniele Borioli (Pd), Paolo Filippi (ex Pd, ora pare al rientro).
Non sarà il Pcus  (come mi ha detto sorridendo serafico un addetto ai lavori all’uscita da Palazzo Ghilini), perchè questa italietta al naufragio non è certamente l’Urss d’antan. E tuttavia rimane l’impressione di un Paese in cui le voci ‘altre’ si spengono, una ad una, non si capisce se per mancanza di voglia, per incompetenza o altro. E al povero Partito Democratico tocca cantare e portare la croce, e fare sui territori l’opposizione al se stesso governativo, in un teatrino un po’ stucchevole tra renziani e non. Meno piacevole di tutti, il ruolo dei senatori (nella fattispecie Borioli e Fornaro), a cui tocca qui essere anti riforma delle Province, e a Roma poi di riffa o di raffa sostenerla, per la ragione di Stato, o di partito, o di partito-Stato, appunto.

Ma, al dunque, che è emerso ieri?

Nulla di nuovo sotto il sole: l’altra sera da Fazio, ossia comodamente a casa propria, Renzi ha elencato una serie di azioni di prossima realizzazione, con cui salverà l’Italia, “oppure andrò a casa io”, e questa direi di segnarcela.

Tra queste azioni, pure la finta abolizione delle Province, come la definiscono con ragione sia Saitta che Filippi. Ossia la loro conservazione de facto, con trasformazione in enti di secondo grado, e un risparmio di circa 100 milioni di euro l’anno (ma c’è chi sostiene anche meno) di costi della politica, su circa 12 miliardi necessari per tener in piedi le strutture.

Qui, naturalmente, si apre lo scenario delle ipotesi, e delle opinioni. Tra i relatori di ieri (però che noia i dibattiti in cui tutti gli intervenuti la pensano allo stesso modo….diventano onoranze funebri, appunto: e del caro estinto si ricordano solo le virtù) prevaleva in maniera assoluta l’idea che la (finta) abolizione delle Province sarà appunto un serio colpo per la democrazia del Paese, e soprattutto un grave danno per i cittadini, da sempre in cima ai pensieri dei nostri amministratori pubblici, locali e non.

Quindi, se già oggi, con le Province in vita (ma “vittime di tre manovre finanziarie in due anni, che hanno praticamente azzerato le risorse”, come ricordato da Paolo Filippi nella chiosa finale), le strade, gli edifici scolastici, l’ambiente, il lavoro, la formazione professionale e tutto il resto sono messi come sappiamo, tra qualche mese potrebbe essere anche peggio.

Anche se l’unico elemento di certezza, ad oggi, è che a maggio per le Province non si voterà più, e che nei mesi successivi si provvederà ad eleggere organi di governo non più attraverso il voto popolare, ma attraverso meccanismi che coinvolgeranno i sindaci e i consigli comunali del territorio, in maniera ‘ponderata’, rispetto al peso demografico delle singole realtà. E naturalmente saranno tutte cariche gratuite, in base al nuovo dogma imperante nel Paese: incompetenti sì, ma rigorosamente no profit.

Da lì in poi, ci spiegheranno Renzi e Del Rio nei prossimi giorni cosa succederà davvero alle Province, e se saranno eliminate o no nell’ambito del processo di revisione del Titolo V della Costituzione più bella del mondo.

Comprensibile il disagio, l’incertezza e forse anche qualcosa di più dei circa 60 mila dipendenti del comparto (di cui 600 ad Alessandria, più o meno): che ne sarà di loro, al di là delle generiche rassicurazioni sin qui ricevute? Saranno trasferiti, e dove e a fare cosa?
E, se è vero che in Italia nel 2013 han perso il lavoro 500 mila persone nel settore privato, senza che la politica si sia gran che scandalizzata, fan comunque bene i dipendenti della Provincia di Alessandria ad auspicare chiarimenti e garanzie: in questo caso più che mai mal comune non sarebbe mezzo gaudio.