Ci siamo incrociati recentemente al Salotto del Mandrogno. Il leitmotiv della serata era ‘che fine hanno fatto’, e in quell’occasione i riflettori erano puntati soprattutto sui personaggi politici che hanno contribuito a fare la storia della città, portando via un po’ di attenzione alla musica. Ma i ragazzi degli anni Ottanta i Viridanse non li hanno certo dimenticati, e il loro storico chitarrista, Enrico Ferraris (foto sotto, a destra), stimolato sul palco dalle provocazioni del ‘padrone di casa’, Massimo Brusasco, ha estratto dal cilindro aneddoti, ricordi, e più soddisfazioni che rimpianti. Era l’epoca dei paninari, dei dark, dei rockabilly, dei metallari, dei punk, e tanto altro. Un periodo, quello, caratterizzato da tanti cambiamenti e stravolgimenti: dal modo di fare comunicazione (nascono in quegli anni le televisioni private), alle espressioni artistiche in genere.
Enrico, chi sono i Viridanse?
Eravamo un gruppo formatosi nel 1983 composto da 4 persone che venivano da esperienze maturate altrove già dalla fine degli anni 70. Flavio Gemma (basso), Paolo Boveri (chitarra e voce), Enrico Ferraris (chitarra), Roberto Modellato (batteria) successivamente sostituito da Antonello De Bellis, che ha poi registrato con noi tutti i dischi ufficiali.
Che musica facevate?
Il genere musicale che facevamo allora era ‘etichettato’ come new wave, un genere che si stava affermando dopo l’avvento alla fine degli anni 70 del punk.
Perdona l’ignoranza, ma quindi facevate una sorta di post punk?
In realtà non mi dispiace la tua definizione, rispecchia effettivamente l’attitudine che in quegli anni gruppi come il nostro avevano nei confronti della musica o del linguaggio musicale in genere.
Rispetto agli altri stili musicali degli anni ’80, come vi collocavate o che influenze subivate? Raccontami un po’ quel particolare periodo ormai storico ….
Eravamo cresciuti musicalmente, soprattutto Flavio ed io che eravamo anche i più ‘attempati’, negli anni ‘70, ascoltando miriadi di generi musicali diversi (dal jazz rock al progressive …) e ovviamente verso la fine del decennio quando cominciò ad affermarsi sulla scena musicale il punk, con tutte le sue variabili, rimanemmo coinvolti in questo processo estremamente grande e importante di trasformazione. Trasformazione questa a tutti i livelli, non solo musicale, ma che coinvolgeva diverse sfere della società: dall’arte in genere, alla moda, al modo di intendere anche la politica se vogliamo. Ciò che voglio dire è che noi quando iniziammo a suonare realmente, sul finire degli anni ‘70, e a cimentarci con le prime formazioni, maturammo subito il desiderio di vedere la musica come improvvisazione e sperimentazione: ci si ritrovava in scantinati condivisi da tanti ragazzi desiderosi di fare musica insieme. Questa, in realtà, era la vera novità rispetto agli anni precedenti, quando la musica era sicuramente fenomeno più élitario, meno diffusa e più circoscritta tra gli addetti ai lavori. La straordinaria rivoluzione che stava avvenendo in quegli anni era proprio questa, ossia una diffusione maggiore di movimenti che andavano contro le regole troppo accademiche del mondo musicale. Tanto per spiegarti meglio, l’aria che si respirava in quegli anni era la stessa che la generazione precedente ebbe con il passaggio tra la vecchia musica degli anni ‘50 e l’avvento dei Beatles e dei Rolling Stones. I primi approcci come Viridanse alla composizione dei nostri pezzi furono non convenzionali rispetto alla forma della ‘canzone canonica’, cioè subivamo inevitabilmente influenze provenienti da Paesi come L’Inghilterra e gli States, dove il fenomeno del cambiamento dal punk alla new wave si era già messo in moto da tempo. Non dimentichiamo che allora le differenze temporali in cui si sviluppavano i fenomeni musicali erano dilatate rispetto ad oggi, perché non c’era la velocità negli scambi di informazione, mi riferisco al web ovviamente …
Quali sono state le vostre esperienze discografiche?
Nell’83 iniziammo a scrivere i primi pezzi, quattro dei quali furono inclusi in un ‘demo tape’ (ad esempio Ixaxar) che portava il titolo di ‘Gallipoli 1915’. Le prime composizioni avevano un’atmosfera particolarmente scura, dark come si chiamava in quel periodo: io amo definirla più ‘psichedelica’. Sicuramente poco attenta alla tradizionale forma canzone. Questo primo lavoro ci permise di farci conoscere su riviste musicali come ‘Rockerilla’ (uno dei periodici cult degli anni ‘80) e su diverse altre testate e fanzine. Fra l’83 e l’84, maturò in noi il desiderio di realizzare un disco ‘ufficiale’: la nostra attenzione era rivolta al nuovo panorama musicale italiano che aveva in Bologna prima, in Firenze poi, il vero centro di attrazione. Scrivemmo diversi pezzi in quel periodo, producemmo un provino di quattro canzoni e ci presentammo a Firenze alla ‘Contempo Record’ (casa discografica dei primi Diaframma, dei primi Litfiba, ecc.): e tornammo indietro con un contratto discografico in mano!
Quindi potevate definirvi professionisti o pseudo tali?
In quel periodo avevamo la convinzione di poterlo fare come lavoro, e il contratto fu la prova che fino a quel momento avevamo lavorato duramente, ma nel modo giusto. Registrammo il disco in uno studio professionale vicino a Firenze, in quattro giorni, lavorando ininterrottamente notte e giorno. Nel 1984 uscì Benvenuto Cellini, un mini LP contenente 4 pezzi, ossia Justine, Ultimo canto, l’omonima Cellini e infine Vaso Cinese. In quell’anno iniziammo a girare l’Italia, suonando e promuovendo quel primo lavoro e ottenendo un discreto successo, anche di pubblico.
Altri successi discografici?
Dopo la pubblicazione del primo LP, iniziammo a pensare e scrivere nuovi pezzi che avrebbero dovuto far parte di un lavoro più ampio. Se i brani di Cellini, pur cantati in italiano, risentivano ancora delle radici anglosassoni, nell’approccio musicale soprattutto, i pezzi che iniziammo a comporre successivamente avevano una particolare attenzione per temi musicali più vicini alla musica italiana.
Che differenze c’erano tra i due lavori? Qual è stata l’evoluzione?
Sicuramente acquisimmo pian piano maggiori conoscenze, e cercammo di indirizzare la nostra musica da atmosfere piuttosto scure a qualcosa di più vicino alla nostra tradizione: sonorità più fresche, ritmi meno ossessivi e una maggiore attenzione alla costruzione del pezzo (dalla melodia alle parole). Il vero spartiacque fra il due lavori fu proprio il pezzo che diede il titolo all’LP che uscì nel 1985, Mediterranea. Una canzone costruita su un riff accattivante dal sapore molto solare. Il lavoro che cercammo di fare, a livello di produzione artistica, fu proprio quello di allontanarci dalle sonorità degli anni Ottanta per intraprendere un cammino nuovo, ma che alla fine, come accade spesso nella moda, recuperava stili e influenze anche dei ‘70 in questo caso. Quel long playing ricevette, con nostra sorpresa e soddisfazione, diversi riscontri positivi di critica e pubblico: risultammo il miglior gruppo e il miglior disco nella classifica dei lettori di Rockerilla davanti a gruppi come Litfiba, Diaframma e altri …
Visti i successi che stavate vivendo in quel momento, come mai è finita? Vi siete sciolti?
La pubblicazione di Mediterranea, in effetti, ci aprì parecchie porte e molte possibilità di poter fare il salto di qualità necessario per diventare musicisti professionisti. Ma purtroppo non sempre le esigenze e i nostri desideri di realizzazione coincidono con quelli economici e strategici delle etichette discografiche. La nostra etichetta sembrava non ascoltare le nostre richieste, e forse noi fummo troppo impazienti di voler entrare nel mainstream, per cui non fu più possibile proseguire artisticamente su un nostro percorso. Nel 1987 i Viridanse si sciolsero pur avendo nel cassetto parecchio materiale per un nuovo lavoro discografico che, purtroppo, non vide mai la luce.
Nonostante vi siate sciolti circa ventisette anni fa, da non molto è uscita una vostra antologia?
Si, si intitola ‘Gallipoli 1915 e le altre storie’. È un doppio cd che raccoglie la nostra produzione discografica completa, oltre a 11 inediti recuperati da vecchi demo tape e registrazioni dal vivo opportunamente restaurati. È stato un lavoro che ho curato personalmente assieme Oltrelanebbiailmare, un’etichetta di Treviso che si occupa di recupero di vecchi lavori italiani degli anni Ottanta. (Dall’antologia pubblicata nel 2012, Frontiere, http://www.youtube.com/watch?v=yhvbgZ-NezQ).
Chi fosse interessato a comprare il cd dove lo trova?
Nei negozi di dischi in generale, in Alessandria presso Dabliu, oppure sui principali siti di download musicali, inoltre si può ordinare direttamente sul sito dell’ etichetta Silentes (Oltrelanebbiailmare ) http://store.silentes.it/store.htm
Avete in mente una reunion e qualche concerto per i vostri, ormai vecchi, fan? (Mi ci metto anch’io, ovviamente)
Ride sonoramente e afferma: è un’idea che mi solletica da tempo e, in effetti, molti ce lo stanno chiedendo … chissà ….
Un’ultima domanda Enrico. Durante la serata al Salotto del Mandrogno sì è fatto cenno alle famigerate scritte apparse sui muri del Plana (e di altri istituti scolastici in città): ‘Viridanse merda ….’: dopo trent’anni, hai qualche rivelazione esplosiva sul tema?
(sorride divertito, ndr) E chi si ricorda! A distanza di così tanto tempo è difficile ricostruire le motivazioni che stavano dietro a quelle scritte: magari la fidanzata delusa di qualcuno, o la tipica ostilità fra gruppi. Anche se non ti nego che all’epoca ci hanno fatto, involontariamente, una bella pubblicità. Spero però che i Viridanse siano ricordati per la loro musica e non per quelle scritte!