Sono perplesso. Ho visto in Tv lo spot del Governo sulla schedatura del Dna presentata come nuovo, scientifico, eccezionale mezzo per la soluzione di moltissimi crimini, di quelli sessuali in primis ma non solo. Proprio perché sconcertato nel veder andare a posto un’altra delicata tessera del ‘grande fratello’ che ormai controlla tutte le nostre comunicazioni private, dalle telefonate alle e-mail che la rete, oltretutto, conserverà per sempre, ho cercato in giro quale informazione supplementare.
Così ho appreso che è in allestimento un sito web del “Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita” cui è affidato l’incarico di spiegarci come si fa a garantire insieme sicurezza e privacy. Bene, vedremo. Nel frattempo abbiamo appurato che la schedatura riguarderà tutti coloro che sono finiti negli archivi criminali. Chi non aderirà all’invito entro settembre prossimo sarà passibile di sanzioni penali.
La strategia si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il mondo, con epicentro, ovvio, negli Stati Uniti, ma anche con l’Unione Europea che non scherza visto che schedature simili sono già in atto in molti Paesi, compresa la Francia e la Gran Bretagna, che esiste un accordo per lo scambio delle relative informazioni cui ha aderito anche l’Italia e che finora le ragioni dei difensori della privacy sono state rigettate dai tribunali.
E allora cos’è quel vago senso di disagio che mi coglie quando sento parlare di queste cose? Ma, innanzitutto il fatto che negli archivi criminali sono andati a finire non solo i delinquenti ma anche coloro che dopo l’arresto sono stati rilasciati perché assolutamente estranei ai fatti. Poi perché non viene almeno per ora previsto nessun discrimine tra le tipologie ‘criminali’; tra chi magari è stato fermato nel corso di una manifestazione politica (citiamo a caso i giovani arrestati durante i disordini di Genova) e coloro che si sono macchiati di stupro o di omicidio.
E poi c’è un altro aspetto che vi invito a considerare. Il Dna non consiste soltanto in un metodo scientifico per individuare senza possibilità di errore l’identità di una persona, ma consente anche di risalire all’impronta biologica completa dell’individuo (predisposizione alle malattie, difetti genetici, mutazioni ecc.). Ebbene chi ci garantirà che questa serie infinita di dati – che non esiterei a definire sensibilissimi – non possano finire in mani non autorizzate e diventare materiale per ricerche ‘scientifiche’ di vario tipo? Il responsabile della privacy? Io non credo…