Sulle grandi opere pubbliche (dal Terzo Valico alla Tav, al ponte sullo Stretto, a tante altre) e sulla loro effettiva utilità si scrivono ogni giorno fiumi di parole, e non intendiamo qui ripercorrere le tante motivazioni pro e contro ogni singolo progetto.
Invece: sul nostro territorio, qualche recente operazione e decisione giudiziaria nel tortonese ha riacceso i riflettori sul tema, da sempre di estrema attualità, dei rapporti tra grandi opere e malavita organizzata.
Ma davvero non c’è modo, in questo Paese, di pensare ad opere pubbliche (non solo grandi, ma anche medie e piccole) che si possano realizzare con trasparenza e correttezza, senza che per forza debbano scendere in campo da protagonisti malavita e tangenti?
E l’alternativa, quale sarebbe? L’immobilismo senza se e senza ma, e la rassegnazione alla decadenza e allo sfascio?
Non intendiamo tornare sul tema Terzo Valico sì o no, già ampiamente discusso. E di recente la segretaria provinciale della Cgil, Silvana Tiberti, ha ricordato che sul fronte Terzo Valico stanno lavorando al momento non più di 60 lavoratori.
Insomma, siamo ai preliminari dei preliminari del progetto, su cui gravano incognite di ogni tipo. Epperò non possiamo davvero accettare che in Italia nulla si possa fare, se non scendendo a patti (o peggio) con la malavita. E neanche, d’altro canto, che la soluzione sia sempre e comunque non fare nulla, e stare seduti a criticare, pronti a denunciare chiunque decida di provare ad uscire dall’immobilismo.
La metafora del bambino gettato via con l’acqua sporca è decisamente abusata, ma rende comunque l’idea di come siamo messi, e dell’empasse da cui dobbiamo uscire con forza. Anche questa si aggiunge alle tante sfide che il governo Renzi si appresta ad affrontare. Con esiti non prevedibili, ma certamente senza neanche poter far finta di nulla. Non è più il tempo di guardare altrove insomma, o di tergiversare: ma di prendere decisioni ed assumersene la responsabilità. Pena il definitivo ‘affogamento’ di un Paese già sott’acqua.