Il mestiere di salvatore della patria è scomodo che più scomodo non si può, in un Paese che viene percepito dai suoi abitanti (più sudditi che cittadini) ‘in caduta libera’, altro che ‘nella palude’.
Le modalità con cui Matteo Renzi diventa premier (annunciando subito “il governo durerà quattro anni”, e lasciando intendere che resterà anche segretario del Pd) sono democraticamente anomale. Il sindaco di Firenze (almeno lì si dimetterà, supponiamo) non è mai stato eletto dal popolo italiano, né come premier, né come parlamentare: e già questo fa sì che il parallelo storico con Berlusconi sia inopportuno. L’irresistibile ascesa di Renzi (solo un anno fa bocciato dalle stesse primarie del centro sinistra, a favore di Bersani) ci viene ‘venduta’ come una ‘virata’ straordinaria, il sistema che si rinnova, e il nuovo che finalmente ‘scalza’ la consunta oligarchia post Pci, ma anche post Dc. Basta D’Alema e Rosi Bindi insomma, e basta pure con l’inconcludente stagione dei tecnici.
L’elemento più straordinario, in tutto ciò, è il PD. Un partito ‘rivoluzionario istituzionale’, che approfittando della mancanza di organizzazione vera di tutti gli altri competitors (da un centro destra ‘inebetito’ da vent’anni di berlusconismo, ad un Movimento 5 Stelle che è cresciuto impetuosamente, imperversa sulla rete, ma deve anche fare i conti con inesperienza, sbandamenti, e l’avversione del 99,9% del sistema mediatico professionale), ha la pretesa di recitare, da un po’ di tempo in qua, tutte le parti in commedia. E’ il partito delle grandi banche (italiane e non), ma anche dei pensionati e degli impiegati pubblici. Rivendica un filo rosso con la Resistenza (perché oggi i partigiani sarebbero ovviamente in armi contro i populismi grillini, oh yes!), e al tempo stesso se inaugura una strada chiama il prete di turno a benedire l’establishment locale (tanto nessun giornale, neanche questo magazine, ha avuto coraggio di titolare “il Pd va a farsi benedire”, come avrebbero fatto Cuore o Tango 25 anni fa).
Insomma, il Pd fa e disfa, con tutti i rischi del caso, ma tant’è.
Ora c’è chi dice che Renzi rivolterà il Paese come un calzino, e chi invece (a destra, ma soprattutto a sinistra) ha già ‘girato la clessidra’, e fatto partire il conto alla rovescia. “Entro un anno si brucia anche lui, e avanti un altro”. Ma avanti fino a quando, e verso dove?
Certamente Renzi ora non avrà alibi. Discreto battutista, e affabulatore inarrestabile, il prossimo premier sa persino parlare con la gente comune, che per un leader di centro sinistra è una rarità da una caterva d’anni.
Ma non potrà cercare scorciatoie, o vivere di slogan. Non è questo il tempo. L’Italia è letteralmente a pezzi, e i tempi di reazione devono essere brevissimi. Monti e Letta hanno ‘traccheggiato’, magari qualcosina sul piano dei conti avranno pure sistemato, ma questo Paese ha strade da terzo mondo (anche ad Alessandria e a Tortona, non solo a Caltanissetta), e sul fronte delle reti web non è messo meglio. Poi c’è una scuola pubblica a pezzi, una sanità che ‘tiene’ solo a macchie da gattopardo (e il Piemonte è ancora tutto sommato un’oasi felice), una macchina statale mastodontica e inefficiente. Non si tratta di licenziare a raffica, sia chiaro (ma gli incapaci sì: certamente con un bel salvagente, ma fuori dai piedi subito). Semmai il contrario. Ossia investire, crescere, puntare davvero sulle infrastrutture. Accettare la scommessa di diventare, in 5-10 anni, un Paese moderno e all’avanguardia. Questo gli italiani (di sinistra, di destra, di centro) si aspettano da Renzi. Ma con quali (enormi) risorse? E come riuscirci, tutelando al contempo i lavoratori e le fasce più deboli della popolazione, che rischiano davvero di finire in un ‘tritacarne’ in cui lavorare (in primis sul web e attorno al web) nella più totale mancanza di tutele e garanzie diventa la norma? Temi delicatissimi, che avremo modo di affrontare uno per uno, nelle prossime settimane. Osservando nel frattempo le prime mosse di Matteo Renzi, e verificando anche se, al di fuori del partito rivoluzionario istituzionale, riprenderà a muoversi qualche altra proposta. Oltre, naturalmente, al progetto 5 Stelle. Avere diverse alternative, anche solo ipotetiche, è pur sempre un bel modo per sentirsi in democrazia.