Signore e signori, benvenuti in campagna elettorale. Non che se ne sia mai davvero usciti, potrebbe essere in realtà l’obiezione. Nel senso che l’impressione diffusa fra noi cittadini/osservatori è che lo spazio tra un’elezione e l’altra (in Italia si vota, mediamente, una volta l’anno) la classe politica sempre più la impieghi non a cercare di realizzare i progetti a suo tempo presentati all’elettorato, ma a difendersi da attacchi di varia natura, e al più a fare lo sgambetto a qualche avversario.
Siamo un Paese in cui da vent’anni si parla di riforme istituzionali, spacciate come essenziali per far ripartire il Paese. Tanto che ormai anche a questo ‘mantra’ non crede più nessuno, a partire da chi lo veicola. L’attuale vero obiettivo delle riforme è più prosaicamente far fuori Grillo e i 5 Stelle, o quantomeno metterli in condizioni di non nuocere, se nonostante lo ‘sputtanamento mediatico’ (vedrete che boomerang, a proposito: e che pacchia per Grillo se davvero lo arrestassero anche solo per 24 ore, dopo essersi tutti quanti, giudici in primis, ‘scordati’ di far scontare la pena al condannato in via definitiva di Arcore!) gli italiani si ostinassero a non capire che una scelta bipartisan tra Pd e Pdl è il massimo di democrazia che ci meritiamo, ma soprattutto che ci possiamo permettere!
Bene. Le elezioni dicevamo. A maggio si vota per le Europee, per il rinnovo di numerosi consigli comunali, e probabilmente (lo sapremo tra pochi giorni, ma in tanti lo danno per scontato) per rinnovare il parlamentino regionale. Che non è, in un’ottica da addetti ai lavori, un ‘bocconcino’ secondario. Anzi: se ormai fare il sindaco di centri medio piccoli è assai più onere che onore (e, gira e rigira, aspirazione da prepensionati o pensionati, per tante ragioni), e l’Europa vista da Alessandria è sempre più lontana, Torino rimane un gran bel traguardo, a cui aspirano in tanti. A partire da chi ancora oggi nicchia, nega, o accetterebbe solo obtorto collo, perché “me lo hanno chiesto in tanti, lo faccio per il territorio”.
In queste settimane nomi ne girano tanti, praticamente tutti, ed è giochino in fondo sterile mettersi lì a ‘vivizezionare’ le ambizioni individuali. Semmai sarebbe più interessante tentare un bilancio dell’operato delle Regioni dalla loro costituzione ad oggi, con particolare focus sugli anni (seconda repubblica) in cui sono diventati dei micro stati, dotati di ampie risorse (sanità in primis), e di conseguente peso politico. E’ lì che, temiamo, cascherebbe ‘l’asino’. Tanto che ormai la nuova modo è sussurrare a mezza voce: “io avrei tenuto le Province, come collante con i territori, magari un po’ allargate rispetto ad oggi. E azzerato le 20 voragini regionali”. E, a proposito di Province, rimaniamo in attesa di capire cosa succederà su quel fronte: ente di secondo grado, senza elezioni dirette. Va bene, ma tutto il resto? Non è che, alla fine, la montagna partorirà il topolino, e ci ritroveremo con strutture ancora meno efficienti, senza neanche la consolazione di aver risanato i conti?
La realtà è che riformare il sistema Italia è mestiere da Titani, e in giro se ne vedono davvero pochi, di quella razza lì. Sempre meno. In compenso, da qui a maggio, saranno tre mesi di battaglia elettorale vera, nel nome del popolo italiano!