E dai e dai, da qualche parte doveva venir fuori qualcuno che si è fatto venire l’idea di fondare un partito che ha per obiettivo quello di licenziare gli statali. Il tema è assai discusso tra una popolazione ridotta quando va bene a salari di fame, minacciata da incombenti riduzioni di personale, in cassa integrazione, o, molto peggio alla disperata ricerca di un posto di lavoro che non trova, senza nemmeno poter contare su uno straccio di sussidio. Non può non essere discusso quando il pubblico impiego appare agli occhi dei più come una sorta di paradiso del posto fisso, ed è altrettanto evidente che nel clima in cui viviamo le esasperazioni più rudimentali, che in questo caso arrivano dalla regione Veneto, abbiano la meglio sui pacati ragionamenti.
Anche perché da parte sindacale non è uscita una parola al proposito, e la ‘politica’ si guarda bene dal, come si dice ipocritamente, farsene carico. Così anche i pochi uomini di buona volontà non riescono a fare chiarezza. Spiegano che la spesa pubblica può funzionare, anzi funziona egregiamente per rilanciare la domanda aggregata perché, insomma, la spesa di qualcuno è comunque il salario di qualcun altro. Spiegano che il costo della spesa pubblica in Italia è inferiore (diviso per abitanti) di quello della Europa virtuosa e che il problema non è tanto quello di ridurla ancora, ma di ristrutturarla nel senso della qualità e dell’efficienza, incidendo sugli esuberi (parola tra le più proibite, specialmente negli enti locali, come possiamo vedere anche nella nostra città) e utilizzando gli strumenti resi disponibili dalla rivoluzione digitale.
E invece al problema si dedicano al più dotti convegni mentre al cittadino tocca fare i conti con impiegati spesso malmostosi, lenti, per niente preoccupati dei disagi e dalle infinite perdite di tempo che provocano ai cittadini, come si è visto nella folle vicenda Imu e Tares. Ma invece di entrare nel vivo (mica si tratta di fare macelleria sociale, si tratta di ricalibrare il sistema alleggerendolo, anche dal punto di vista normativo e ottimizzandone le prestazioni), il governo che ci siamo ritrovato si diletta con gli effetti annuncio, come l’ultimo di Letta sulla privatizzazione delle Poste. Una operazione che ha raccolto più critiche che consensi, non riuscendo però a impedire al primo ministro di spacciarla come l’inizio di un alleggerimento del Debito pubblico. Sai che roba visto che dalla vendita delle azioni PT si pensa di ricavare 4 o 5 miliardi di Euro a fronte di un debito che supera abbondantemente i 2.000! Cominciamo proprio bene!
Accade così che il cittadino lasciato a se stesso, anzi, a questo punto mi verrebbe da dire letteralmente sbeffeggiato, vada fuori dai gangheri, come Sante Carraro (uno dei promotori dell’iniziativa), il cui sfogo è stato raccolto da www.lintraprendente.it “Da sessant’anni a questa parte la riduzione del costo dell’apparato pubblico è tra i primi punti del programma elettorale di ogni formazione politica, poi puntualmente violata appena scrutinate le urne. Con la conseguenza che il sistema è al collasso. Ormai nemmeno lo Stato può far finta che il problema non esista. Detroit è dietro l’angolo, ovvero la fine è dietro l’angolo. Lo ha fatto presente, a più riprese, anche il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino che, nell’ultima relazione sul rendiconto generale di Stato, ha parlato di una missione non più differibile e necessaria per la ripresa economica”.
Personalmente non concordo assolutamente con l’dea di licenziamenti di massa, Ma leggendo così, tra virgolette, le parole di questo signore, mi sembra difficile dirgli che le sue critiche sono sbagliate.