Ripartiamo dal lavoro. Slogan sulla bocca della politica. Il lavoro che non c’è. Ci sarebbe da scrivere un libro. I politici trasformati in santoni che lanciano proclami su come risollevare le sorti del paese, quel paese che loro hanno portato allo sfacelo e che adesso danno ricette a piccole dosi per spiegarci come si esce dal baratro in cui ci hanno scaraventato.
Allora parliamo di lavoro e di conquiste nel mondo del lavoro, quel lavoro che non c’è.
Sono passati centodieci anni dall’eccidio di Buggerru e forse tanti si sono dimenticati cosa accadde allora. Proviamo a ricordarlo.
Buggerru è un paese sardo che si trova sulla costa occidentale della Sardegna nella provincia di Carbonia – Iglesias, terra di minatori.
Lo sfruttamento delle miniere, che fu in passato un’attrattiva delle popolazioni del Mediterraneo che correvano a scambiare i nostri materiali con i loro prodotti, veniva dato in concessione a società francesi. Queste società, convinte di essere in una delle loro tante colonie, sfruttavano le nostre risorse minerali e umane.
La società Malfidato, di origine francese, aveva in concessione leminiere di Buggerru e condizionava la vita dei lavoratori. I lavoratori arrivavano da ogni parte dell’isola, alloggiavano in case di proprietà della società cui si doveva pagare l’affitto, i generi alimentari erano venduti negli spacci aziendali a prezzi maggiorati, i salari avevano prezzi d’acquisto bassissimo considerata la crisi in corso. Nei primi mesi del 1904 Giuseppe Cavallera e Alcibiade Battelli, due dirigenti della Lega Minatori e militanti socialisti, a seguito delle condizioni disumane in cui versavano i lavoratori delle miniere, proclamarono un’ondata di scioperi per avere un risposta alle rivendicazioni che erano legate all’orario di lavoro, un orario che oscillava dalle dieci alle dodici ore.
Si ricorda che in questo contesto l’attrezzatura per il lavoro doveva essere di proprietà di ciascun operaio.
Il 7 maggio di quell’anno l’ennesimo incidente costò la vita a quattro minatori. In risposta agli scioperi la società che gestiva le miniere impose una riduzione dell’orario dell’intervallo pomeridiano.
Da quella decisione non si tornò indietro e fu proclamato uno sciopero a oltranza. I rappresentanti sindacali cercarono invano di riaprire un dialogo con la direzione che confidava nell’intervento militare. E ciò avvenne. La Quarantaduesima Fanteria Cagliaritana sparò ad altezza d’uomo. Felice Littera, Salvatore Montixi e Giovanni Pilloni furono colpiti dalle pallottole dei militari, Giustino Pittau morì successivamente in ospedale in seguito alle ferite riportate.
Quella fu la fiammella che accese le rivendicazioni sui diritti del lavoro.
Per quattro giorni i lavoratori italiani, guidati dai socialisti rivoluzionari, proclamarono il primo sciopero nazionale italiano. Per quattro giorni ampie fasce di lavoratori italiani incrociarono le braccia, diversi giornali non uscirono, parecchie fabbriche si bloccarono, addirittura i gondoliani a Venezia fermarono le gondole.
Ma a che serve tenere viva la memoria? Non siamo mica più a quei tempi là.