Arriva Renzi, e in due ore trova con Berlusconi l’accordo su punti salienti dell’agenda politica (anche se non del Paese: agli italiani che si voti alla spagnola o alla tedesca importa una pippa: tanto per tener presente la distanza tra Palazzo e cittadini), là dove D’Alema e cloni vari sono andati avanti per vent’anni a ‘ciurlare’ nel manico in maniera (volutamente, si intende) inconcludente. E ti credo che gli rode, a costoro, il successo del pimpante fiorentino.
E poi, diciamocelo: Renzi è un contemporaneo, e un uomo di spettacolo. In questo sembra il figlio naturale di Silvio, e sabato simbolicamente il vecchio show-man ha passato lo scettro al suo successore. Il sindaco di Firenze la mattina era a Firenze per impegni pubblici, poi ha preso il treno per Roma, ha incontrato prima Berlusconi, quindi i giornalisti per il solito show. E con il treno è tornato a casa a Firenze, come un pendolare qualsiasi. Chiaro che uno stile così lo rende immediatamente vicino alla gente, antitetico a quel mondo romano descritto nel film La Grande Bellezza di Sorrentino, a cui invece appartengono a pieno titolo (anzi, ne sono l’emblema) i burocrati post berligueriani che hanno guidato negli ultimi vent’anni la sinistra italiana: avendo come baricentro i salotti alto borghesi della capitale (dove pare fosse assai conteso D’Alema, ma anche ai tempi il compagno Bertinotti) e i Palazzi del potere, mentre il popolo diventava per loro via via icona da comizio, e non più sostanza. E, elettoralmente, guarda un po’ e chissà come mai, il popolo si orientava altrove.
Ma torniamo all’oggi. Ci riuscirà Renzi, in quatto e quattr’otto, ha portato a casa le famose riforme, di cui in questo Paese da operetta sentiamo parlare come di entità quasi mitologiche fin da quando avevamo i calzoni corti? L’unico ostacolo serio, è evidente, il segretario del Pd lo ha ormai al proprio interno, nello stesso Partito Democratico, e si vedrà nei prossimi giorni quanto possa essere consistente. Sul fronte della legge elettorale, peraltro, è chiaro che siamo di fronte al rischio che, in nome della governabilità, ci venga imposto un modello a ‘democrazia limitata’, con uno sbarramento dell’8% che imporrà ad eventuali movimenti/partiti alternativi alla diarchia centrodestra/centrosinistra di fare davvero ‘il botto’ nel Paese, se vogliono arrivare in Parlamento. Ossia di essere fenomeni davvero di popolo, come la Lega 25 anni fa, e oggi il Movimento 5 Stelle. In caso contrario, niente rappresentanza.
Naturalmente lo sbarramento verrà abbassato notevolmente (ben al di sotto del 5% di cui si parla ora) in caso di coalizioni, o meglio per quei partiti che vorranno fare da cespuglio e stampella ad uno dei grandi alberi. E, statene certi, saranno assai numerosi.
E poi c’è la questione che in tanti in queste ore stanno rilanciando sui social, a partire da facebook: ossia “fate la riforma che volete, ma che tornino assolutamente le preferenze individuali, e la possibilità dei cittadini di scegliersi i parlamentari per nome e cognome”. Secondo voi succederà?
Poniamo, comunque, che attraverso le mitizzate riforme nei prossimi mesi l’Italia torni ad essere un Paese ‘governabile’: ebbene, questo concretamente come cambierà la vita di noi cittadini, a prescindere dal nostro orientamento elettorale? Ossia: si rende conto Renzi che, a parte forse il Freccia Rossa Firenze Roma che utilizza lui, il sistema dei trasporti pubblici in questo Paese è ormai crollato? E che non esistono infrastrutture degne di questo nome, e nessun altro serio motivo perché un imprenditore, italiano o straniero, debba decidere di investire in Italia, o perchè giovani italiani brillanti e con voglia di fare debbano scegliere di rimanere?
E’ su questi temi, e non sul modello elettorale alla spagnola o alla tedesca, che la classe dirigente (politica e non) di questo Paese dovrà misurarsi, ed essere valutata.