Sentirmi un po’ meno Straniero. Questo è il fioretto per il 2014. Ma si può scivolare anche sulle migliori intenzioni e partire con il piede sbagliato. E mi rendo conto di quanto il percorso che mi può liberare dal senso di estraneità possa essere lungo e più impervio di quanto previsto. Prima domenica pomeriggio dell’anno. Decido di mettermi alla prova. Voglio essere accondiscendente con un principio di comune sentire, e così mi intrufolo non senza fatica nella lunga coda di macchine che si inerpica lungo corso Romita per raggiungere la periferia. Obiettivo, un hard disk. Siamo tutti e cinque diffidenti (io, moglie, figlio e due cani) sull’opportunità di una scelta che potrebbe mettere a repentaglio una promessa di tanto impegno. Ma ormai, come si dice, il dado è tratto.
All’orizzonte si staglia immobile e tagliente il profilo da architettura prefabbricata del Centro Commerciale Panorama, eretto ai piedi della tangenziale. Il fortilizio stipato di merci è difeso da un muro di lamiere di autovetture posteggiate. Al suo interno, oltre a una calura soffocante e, credo, poco sana, siamo assorbiti dal passeggio e finiamo anche noi per incrementare, silenziosi, la lunga colonna di viandanti lenti e smorti. Un continuo viavai da formichine laboriose oppresse dal peso di un mondo di cemento e vetri che le sovrasta. L’oppressione di un dio mitologico del vuoto e del nulla che grava sulle spalle di ognuno più del masso di Sisifo.
Amici, coppie, famiglie, neonati e anziani. Italiani e stranieri in un perfetto idillio di integrazione. Luce opaca, asfittica. Riflessi artificiali che riportano alla memoria immagini di una fantascienza antica, quando ancora si comunicava con pellicole in bianco e nero il disagio legato al controllo dei comportamenti nella società americana degli anni Cinquanta. Una moderna Metropolis dove nessuno è protagonista di alcunché ma si crede capace di ambire alla felicità
Subito il torpore mi stringe gambe e piedi. La stanchezza morde improvvisa le articolazioni. Il desiderio della ormai famigliare e rassicurante accoppiata divano/film si fa strada prepotente come la peggiore delle astinenze. Serve una botta di coraggio. Non mi arrendo. Lacero le mie difese e mi infilo in quel mondo festivo ma non troppo festoso. Mi sorregge la speranza di divenire io stesso protagonista di un film horror e provo ad immaginarmi cosa potrebbe succedere se all’improvviso una forza partorita dalle tenebre, oscura quanto inspiegabile, bloccasse le porte di accesso e una fitta nebbia, non rara a casa nostra, offuscasse gli orizzonti esterni.
Sarà certamente il senso di estraneità ormai radicato (o una altrettanto radicata prevenzione) che mi permette di individuare solo lo stereotipo o che mi impedisce di apprezzare il piacere di una nuova esperienza, ma alcune domande sorgono inevitabili.
Che fine ha fatto la sacralità del passeggio domenicale lungo le vie del centro a guardare le vetrine e regalandosi una sosta nei bar per cioccolata calda e pasticcini? Qual è il modello di vita cittadina che stiamo perseguendo spegnendo le luci delle vetrine, facendo calare le saracinesche sui negozi giusto per rinchiuderci in un bunker quando nessuna flotta aerea minaccia di bombardare la città? Che fine ha fatto il sentirsi partecipi al cuore di una città? Perché l’essere trascinati a quel margine che nega il senso di appartenenza a una cultura, a una tradizione? Che senso ha la desertificazione dei quartieri urbani a vantaggio della aree di confine? O insistere con la logica del trasformare ogni rispettabile scheletro del nostro passato (vedi l’area dell’ex zuccherificio così come quel che resta della caserma Valfré) solo ed esclusivamente in un nuovo centro commerciale periferico dove attirare le solite fila di formichine e convincendoci della validità della libera concorrenza?
Chiudo con le domande perché non ho voglia di risposte né tantomeno di dibattito e confronto democratico. Vorrei solo, per un istante, che le formichine si fermassero. Sperando in una sosta per riflettere, e nel parafrasare una battuta di Groucho Marx, ultimo analista economico di riferimento, che, nel loro piccolo anche le formiche si incazzino.