Visto l’interesse che ha riscosso il mio precedente intervento sulla disparità tra impiego pubblico e impiego privato, credo sia opportuno ritornare sull’argomento, ringraziando tutti coloro che hano voluto commentarlo e in primisi il direttore di questo magazine che è intervenuto portando interessanti contributi di chiarificazione e approfondimento.
Comincio quindi chiarendo un paio di cose che ho dato per scontate. Mi è perfettamente chiaro che il nostro settore pubblico, in rapporto alle altre nazioni europee non risulta sovrabbondante sia per quanto riguarda il numero degli impiegati (3.300.000), sia per la spesa relativa che credo si attesti su un –1 o addirittura un –2% in confronto agli altri Stati. Il problema è quello dell’efficienza e la burocrazia italiana efficiente non è. Chi dice il contrario dovrebbe, come suggerisce Grassano, guardarsi allo specchio per controllare la lunghezza del suo naso.
Ci hanno stufato in tutti i modi in questi ultimi anni suggerendoci esempi di efficienza, di ristrutturazioni aziendali, di tagli effettuati con asettico rigore da parte di quelle aziende che sono riuscite a restare sul mercato magari anche migliorando le loro performance e ora che si sposta l’obiettivo sul sistema pubblico bisognerebbe far finta di niente?
Ma come? Abbiamo metà del paese in ginocchio, un ceto medio in via di distruzione, un 30% della popolazione che vive a livello di pura sussistenza, come testimonia l’Istat, e ci si stupisce che qualcuno incominci a parlare non tanto degli stipendi degli statali, che anche se aumentati più di quelli privati, rimangono comunque bassi, quanto di eliminare privilegi e storture? E’ l’intero sistema che regola i rapporti tra lo Stato e gli italiani che va ripensato, rigirato come un calzino, per recuperare efficienza e porre il cittadino al centro di tutele sue attenzioni, eliminando anche disparità di trattamenti tra ministeri di appartenenza che hanno del vergognoso come vergognosa è per esempio l’indennità apposita concessa dalla Regione Liguria ai suoi dirigenti (più di 400) per compensare la ‘fatica’ di tenere i rapporti col personale.
E a proposito di sperequazioni, che la dicono lunga su come lo Stato non sia in grado di controllare i suoi stessi dipendenti, credo sia utile sottoporre ai lettori di ‘Corriereal’ alcuni dati sugli stipendi medi lordi, divisi per numero di addetti che traggo dal sito www.businnesonline.it: “Secondo la classifica degli stipendi degli statali, il quasi milione di insegnanti e di operatori che fanno riferimento al ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (990.680 anni persona) nel 2011 costerà 39.640 euro ad anno persona, quasi il 30% in meno rispetto ai 55.645 del costo a carico del Ministero della Salute. Sopra i 50.000 euro per i dipendenti del ministero dell’Economia, dello Sviluppo economico, della Giustizia, dell’Ambiente e delle Politiche agricole. Il costo medio per anno-persona di uno statale nel 2011 è stato, invece, pari a 42.511 euro, in lieve diminuzione rispetto ai 42.646 euro del 2010. Risultato: lo statale porta a casa una busta paga più ‘piena’ se lavora al Ministero della Sanità o dell’Ambiente, più esigua la busta paga nella scuola, che conquisterà anche nel 2011 il gradino più basso tra le retribuzioni ordinarie e delle amministrazioni”.
E qualcuno ha il coraggio di parlarci ancora di rigore. Che incominci prima di tutto ad adottarlo a casa sua. Ma come è possibile che gli insegnanti siano pagati il 30% in meno degli impiegati delle Asl?
E poi passando dal livello impiegatizio a quello dirigenziale si precipita in sorta di tunnel degli orrori. Non poteva per altro che essere così, visto che l’alta dirigenza da sempre va a braccetto con i politici con i quali anzi forma una casta sola impegnata sopratutto a normare l’inormabile, a prevedere anche la più remota ipotesi di dolo, invece di facilitare il cittadino nell’applicazione delle leggi.
Qui mi rifaccio ai dati pubblicati dal sito www.lavoce.info ripresi da diversi media e mai contestati, anzi lasciati passare con una certa nonchalance. Li ha raccolti Roberto Perotti, uno specialista del settore, rendendoli noti a metà dicembre dello scorso anno. Gli lascio volentieri la parola: “È difficile stabilire la retribuzione di un dirigente ministeriale. Un confronto con una democrazia efficiente può aiutare. I dirigenti di vertice italiani sono pagati tra il 50 e l’80 per cento più di quelli britannici e sono più numerosi. Una differenza indifendibile”. Perotti si spinge fino a definire “predatorio” l’atteggiamento di queste persone ma scorrendo i dati non si può che dargli ragione. Alle “Politiche Agricole, in cui c’è una corrispondenza praticamente perfetta fra le posizioni di vertice in Italia e Gran Bretagna: un capo di gabinetto (un permanent undersecretary), tre direttori di dipartimento (tre director general) e sette direttori generali (ottodirector). La figura più senior in Italia è il capo di gabinetto, che guadagna €275000; in Gran Bretagna il permanent undersecretary guadagna €192.000 – una differenza del 43 per cento. Dopo di questi, in media i tre direttori di dipartimento guadagnano €287.000, contro i €166.000 deidirector general: una differenza del 70 per cento. I sette direttori generali in media guadagnano €192.000 contro i €118.000 dei director: una differenza del 60 per cento.
Passiamo al ministero degli Esteri. Il segretario generale guadagna oltre €300.000 all’ anno, il 15 percento in più del suo omologo britannico. Il capo di gabinetto guadagna €273.000, l’80 per cento più del chief operating officer britannico. Nel ministero degli Esteri italiano vi sono otto direttori generali, con uno stipendio medio di €250.000, il 50 per cento piùdei tre director general e l’80 per cento più della media dei tre director general e dei nove director: La differenza è ancora più significativa perché non vi possono essere dubbi che il Foreign Office britannico ha un ruolo internazionale enormemente più importante del ministero degli Esteri italiano”.
E mi fermo per non annoiare. Ricordando solo che la crescita di personale pubblico registrata in Spagna è dovuta a una scelta complessiva che ha portato il paese iberico a sfondare tranquillamente quel 3% di deficit che noi siamo obbligati a rispettare. Ma qui abbiamo certato di parlare di efficienza del sistema e non di politiche assistenziali. Siamo perfettamente consci che la spesa di qualcuno è lo stipendio di qualcun altro, ma c’è modo e modo.