“Impazienti”, così, da Bruxelles, il presidente del consiglio Enrico Letta ha definito quelli che hanno criticato la legge di stabilità presentata in parlamento dal suo governo. “Non sono Babbo Natale, – ha detto grosso modo – tutti chiedono, ma se allargo i cordoni della borsa lo Stato va a carte quarantotto. Quindi io devo comportarmi come un buon padre di famiglia e gli impazienti devono capire che bisogna fare un passo alla volta”.
Ce ne sarebbero cose da dire, ma l’hanno fatto talmente in tanti, a cominciare dal presidente della Confindustria, Squinzi, che credo di poter dare per assodato un diffusissimo scontento nei confronti di questa legge. Mi limito solo a ringraziale il nostro presidente del Consiglio perché ci ha fornito un lemma in più per interpretare la crisi. D’ora innanzi diremo di chi si è impiccato perché non poteva pagarsi l’affitto, che è stato “impaziente”; chiameremo “impazienti” gli imprenditori che si sono suicidati perché subissati dalle tasse, e ai genitori che non hanno i soldi per comprare i vestiti ai loro figli, diremo di avere pazienza.
Ma lasciamo questa strada fin troppo facile da percorrere di fronte a un governo che sembra navigare tra le nuvole, del tutto ignaro della reale situazione in cui si trova a vivere il popolo italiano.
Passiamo invece ad esaminare il lessico usato dal presidente Letta che si impernia su luoghi comuni (a cominciare dalle palle d’acciaio di cui sarebbe dotato) abusatissimi. Lo farà apposta oppure no? Arduo dilemma. Io credo di no, perché un personaggio come lui, cresciuto, come si dice, nel rosso dell’uovo, capace di radunare intorno al suo ‘pensatoio’ internettiano ‘Vedrò’ i salotti buoni dell’industria e della finanza italiana sarà ben stato capace di introiettare nel corso dei suoi studi e dei suoi numerosi ‘honorum’ ben altri finezze linguistiche e sintattiche. No, lo fa perché crede in questo modo di guadagnarsi la fiducia degli italiani che evidentemente giudica sempliciotti. Tanto che si è spinto a riprendere quel comportamento da “buon padre di famiglia” che il nostro codice civile indica come modello di comportamento per gli amministratori delle società private.
Ma, tralasciando per amor di brevità di aprire una discussione su quest’aultimo punto, è invece assolutmente vero che un capo di Stato non deve certamentee comportarsi come un “buon padre di famiglia”. Non deve in sostanza preparare le minestra con quello che ha in casa, perché non ha più i soldi per pagare il verduriere. Deve essere capace di guardare ben più lontano.
Questo Letta non lo vuol fare. Chissà perché. L’ha fatto Obama per esempio e nell’ultimo trimestre il Pil degli Stati Uniti è aumentato di più del 4 per cento. L’ha fatto il giapponese Abe che ha varato una politica imperniata, cito dal ‘Sole 24 Ore’ su: “1) una politica monetaria audace; 2) una politica fiscale “flessibile” e 3) una strategia di crescita con cui la mano pubblica finisce per stimolare gli investimenti privati. Il presupposto è l’accantonamento, almeno temporaneo, del problema del debito pubblico (pari in Giappone a circa il 240% del Pil, più o meno il doppio dell’Italia) per concentrarsi sulla promozione dello sviluppo di un’economia appena uscita dall’ultima recessione”. E non mi pare che il Giappone sia finito a carte quarantotto.
No. Letta si limita a ripetere, come Napolitano d’altra parte, l’usurato mantra del “coniugare rigore e sviluppo” (che è politichese puro del tipo convergenze parallele) agitando lo spauracchio del dissesto di fronte a chiunque si permetta anche timidamente di dissentire, magari facendo notare che con l’ultimo aumento dell’Iva lo Stato invece di guadagnarci qualcosa ha perso più di tre miliardi di entrate.
Come mai? Loro lo sanno benissimo come mai, ma non lo dicono. Nella prossima coda cercherò di spiegare l’idea che mi sono fatta. Non sono certo un economista è quindi non aspettatevi rivelazioni salvifiche, semplicemente qualche elemento utile per andare al di là dei luoghi comuni più abusati.