30 milioni di euro investiti per la bonifica dei circa 120 ettari di superficie di proprietà del Gruppo a Spinetta Marengo (stabilimento e dintorni, “ma con effetti benefici indiretti per tutto il territorio circostante, fino al fiume Bormida”), e il progetto di rimanere qui ancora a lungo, e di essere sempre più un punto di riferimento di eccellenza non solo italiano ma europeo.
Stefano Bigini, direttore dello stabilimento Solvay di Spinetta, ha presentato ieri i dettagli e la tempistica (6-8 anni, realisticamente) della bonifica da cromo esavalente, ma anche da quel ‘cocktail di veleni”, come lo chiama Medicina democratica, o ‘sostanze che sono presenti nel terreno in percentuali superiori alla media”, per usare la terminologia aziendale.
Mentre la vicenda processuale ripartirà a metà gennaio, Solvay cerca di far emergere con chiarezza la propria linea, basata su alcuni capisaldi essenziali:
– Totale ‘discontinuità’ tra la chimica del periodo che va dagli anni Trenta agli anni Settanta (e forse un po’ oltre) del secolo scorso, rispetto alle attività che vedono oggi impegnata Solvay, e lo stabilimento di Spinetta in particolare.
– Assoluta determinazione, da parte dell’azienda (“ma non da oggi: gli studi e le analisi per migliorare la situazione ambientale di questo territorio sono cominciati almeno nel 2007, e dal gennaio 2012 è partito il progetto di messa in sicurezza operativa e bonifica, per migliorare l’impatto ambientale del sito), a procedere verso una bonifica “totale e definitiva”.
– Solvay nel progetto di bonifica si muove in stretto coordinamento, e con l’autorizzazione (ognuno per le specifiche competenze) di Comune di Alessandria, Provincia, Arpa, Asl, Amag, Regione. Non solo: qua e là viene fatto capire dal management che forse si potrebbe essere anche un po’ più rapidi proprio sul fronte burocratico-autorizzativo, “anche se naturalmente si tratta spesso di procedure innovative, di fronte alle quali è anche comprensibile che si proceda con i piedi di piombo”. Tanto per citare un altro metallo, insomma, e non solo il famoso cromo esavalente.
– Ma c’è cromo e cromo, appunto: e la bonifica che Solvay si propone di portare a termine, e di realizzare più o meno entro il 2020, non prevede di spostare sostanze nocive da questi terreni ad altri luoghi ma, “secondo quanto la legge consiglia fortemente”, si propone di renderle innocue, o facendo in modo di isolarle, oppure di trasformarle in altro: è il caso del cromo esavalente, giallo e cattivo, che opportunamente trattato può diventare cromo trivalente, verde e innocuo. Parola del professor Domenico Osella, della locale Università Avogadro, che però mette le mani avanti: “per ora, nella fase sperimentale di questi nove mesi, tutto ha funzionato, e non risulta possibile nessun tipo di regressione, da cromo trivalente a cromo esavalente”.
– Oggi lo stabilimento Solvay di Spinetta è davvero sicuro e all’avanguardia, e ci lavora personale altamente specializzato:
600 dipendenti (più l’indotto), e tra questi circa 120 laureati, molti dei quali chimici provenienti dalla locale facoltà alessandrina. Ma anche ingegneri provenienti un po’ da tutta Italia e da mezzo mondo.
Scienziati e tecnici, insomma, che non hanno più nulla a che vedere con quei contadini della Fraschetta trasformati in operai senza andar troppo per il sottile, “con mani grandi e callose”…e, aggiungiamo noi, nessuna consapevolezza delle schifezze che quotidiananamente maneggiavano e respiravano, fuori e dentro la fabbrica. Semmai, però, c’è da chiedersi quanto sia eticamente innocente (le questioni giudiziarie non ci competono) chi sapeva, e li usava come bestie da macello. Certo, non l’attuale proprietà e management aziendale Solvay, è chiarissimo. E non solo privati, ma tanta bella chimica di Stato.
– E se nel frattempo lo stabilimento di Spinetta chiudesse, come le solite Cassandre nelle scorse settimane hanno lasciato presagire? Allora sì che una bonifica seria e definitiva rischierebbe di slittare alle calende greche (si veda il caso Ecolibarna a Serravalle, e tanti altri in tutta Italia).
“Ma lo stabilimento di Spinetta – precisa il suo direttore – è teatro di costanti investimenti milionari, e rappresenta uno dei fiori all’occhiello di un gruppo che, a livello mondiale, conta su 29 mila dipendenti. E che in Italia è presente da 150 anni tondi tondi (il primo stabilimento aprì a Rosignano, in Toscana, nel 1912), con 10 siti, 2.300 dipendenti, di cui 250 ricercatori, e un fatturato di 1.230 milioni di euro. Naturalmente nei cicli industriali tutto ha un inizio ed una fine, ma a Spinetta ci staremo ancora a lungo”. Abbastanza, speriamo, da completare un processo di bonifica non facile, ma indispensabile per tracciare davvero un solco, definitivo, tra la chimica dei veleni e quella dei laboratori, se non proprio asettici, comunque a rischio controllato e monitorato.
Nel corso del 2014, promesso, torneremo ad occuparcene spesso.
Intanto può essere utile un’occhiata non superficiale al nuovo sito aziendale, con ampio risalto all’area ambiente e sicurezza. Se son rose…
Ettore Grassano