di Dario Fornaro
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L’allarme suscitato, poche settimane addietro, dalla pubblicazione di nuovi e drammatici dati sanitari sulla cd. “terra dei fuochi”, ha indotto il Governo a predisporre repentinamente un decreto-legge per correre ai ripari, con particolare riferimento alla prassi di mandare a fuoco, clandestinamente, cumuli di rifiuti di ignota provenienza e qualità, comprese innominabili schifezze.
Classico provvedimento tampone, o emergenziale, rivolto ad un fenomeno di inquinamento ambientale, allarme sanitario e, nello specifico, di ordine pubblico, noto da tempo ma confinato – quanto a preoccupazione e contrasto (si fa per dire) – nella dimensione locale, genericamente “napoletana”, adusa a clamori in tema di rifiuti.
Il decreto – ad oggi non ancora noto nel testo, ma attraverso il comunicato governativo – è stato presentato dalla stampa come un provvedimento repressivo (nuova fattispecie di reato e relativi gravami penali) secondo un classico canovaccio: l’ambiente si tutela, o si redime, con la severità delle pene, con gli scudi (cartacei) autorizzativi e, qui e là, con programmi di bonifica. Aspetti certo essenziali, ma che spesso riconducono al dopo-sgarro ambientale, ai “percorsi maliziosi” degli smaltimenti, con scarsa, preventiva attenzione alla concreta proposta di “percorsi virtuosi”, sostenibili sotto gli aspetti tecnici ed economici della filiera.
E’ possibile, ma non del tutto probabile, che il collasso, da crisi, di diversi comparti produttivi – a cominciare dalla cd. industria pesante e/o di base, unitamente ai vari processi di delocalizzazione oltre frontiera – abbiano reso in qualche modo compatibile, a posteriori, nel nostro Paese, la quantità/qualità dei rifiuti speciali e tossico-nocivi con il numero e l’adeguatezza tecnica degli impianti (affidabili) di smaltimento. Ma è incontrovertibile che finché la produzione italiana “tirava” il rapporto rifiuti/smaltimenti (decenti) era ampiamente sbilanciata a favore, si fa per dire, dei rifiuti così come evidente che il saldo, il sovrappiù di rifiuti, veniva di necessità smaltito “in qualche modo” (sui “modi” non mancano né le cronache lungo gli anni né la letteratura d’inchiesta, pubblica o d’autore).
Evitiamo i semplicismi o le facili analogie, ma è un fatto che la politica e il legislatore hanno sempre riservato raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani al settore pubblico, con le sue varianti gestionali, lascando in carico, per contro, il problema dei rifiuti produttivi ai privati, ad un simulacro di mercato quantomeno nebuloso (e fantasioso). Sulla filiera privata avrebbero dovuto gravare le autorizzazioni d’esercizio, i famosi registri e documenti di viaggio, i controlli analitici di processo etc. ma il sistema si è rivelato di improba complessità (con quel che segue) anche per la grande frammentazione, settoriale e territoriale, del tessuto produttivo rispetto ad altri paesi industriali.
Complessità, uguale insormontabilità, uguale assuefazione, sia alla routine quotidiana che alle saltuarie male-sorprese talora affioranti ed esalanti. E non parliamo di quando e dove l’assuefazione non è poi stanchezza dell’anima ma trasuda imposizione “di contesto”: un dramma.
Tornando al decreto-legge, sono certo indiscutibili le buone intenzioni di subitaneo intervento e il polso fermo prospettato ai “fuochisti” , partenopei e non solo. Resta tuttavia un qualche retrogusto amarognolo nel constatare che il primo, dichiarato movente dell’eccezionale presa di coscienza normativa è quello “commerciale”, vale a dire del timore che lo scandalo “terra dei fuochi”, deflagrato a livello nazionale e oltre, recasse pubblico nocumento ai prodotti agroalimentari partenopeo-casertani, come già si cominciava a intravvedere nell’ostracismo cautelativo a determinate provenienze ortofrutticole o casearie.
Così come tocca notare che il decreto, nella sua ultra-tempestività (già commentata da Paolo Zoccola su CorriereAl) risulti dal concerto di cinque Ministeri, compresa la Coesione Territoriale, con inattesa mancanza di quello della Salute. Le urgenze, del resto, hanno di questi inconvenienti che potranno essere riparati o spiegati strada facendo.