Ho appreso dai giornali che, caso davvero unico, tutte le forze politiche alessandrine si impegneranno concretamente per combattere il fenomeno delle ludopatie.
Ecco già questa definizione politicamente corretta, partorita sicuramente attorno a qualche tavolo di specialisti in infelici, mi mette di malumore.
Non sono praticante, nel senso che da molto tempo ho capito che perdere i miei soldi mi procurava un dispiacere di molto superiore alla gioia delle, rare, vincite, ma capisco il fascino del gioco, dell’azzardo, dello sfidare la fortuna, del puntare tutto su un numero. Non lo condivido, ma non mi sento di condannarlo. Fa parte di quella grande scommessa che è in fondo la vita in cui il caso, siccome il caos, svolge probabilmente un ruolo superiore a quello che comunemente gli si attribuisce, specialmente oggi in cui si stanno imponendo volontaristici suggerimenti, del tipo “se vuoi puoi farcela”; “nessun traguardo ti è precluso, dipende solo dalla tua forza di volontà”. Che in realtà non sono altro che formule propiziatorie del tipo di quella stucchevolmente ripetuta nei telefilm americani in cui l’attore, stringendo le mani all’amico ferito, magari da quattro pallottole al torace, mentre sta perdendo sangue come una fontana e lo stanno intubando, gli ripete più volte con sollecitudine: “andrà tutto bene”.
Ma tornando al caso, francamente non capisco questa preoccupazione di tutelare gli italiani dal pericolo insito nel gioco d’azzardo. Anche da quello un po’ ridicolo in fondo delle slot machines di cui si conoscono benissimo le percentuali di vincita visto che vengono predeterminate dai titolari. Ci vedo dietro l’eterno atteggiamento paternalistico di chi ci governa e ci vuole – 2.000 anni di cattolicesimo non sono evidentemente passati invano – tutelare dal vizio. Come fossimo tutti bambini irresponsabili.
Come mai, mi chiedo, problemi simili, non sorgono in Francia, dove c’è un casinò ogni trenta chilometri? In Germania? In Russia, in Croazia e in tanti altri paesi dell’Europa e del mondo intero? E come faranno poi gli Stati Uniti in cui il gioco d’azzardo viene considerato un settore industriale come un altro, capace magari anche di risollevare i destini di territori presumibilmente destinati al collasso economico (vedi i floridi casinò gestiti dalle comunità indiane)? Le ludopatie da loro non fanno strage? Sono tutti più maturi di noi? Solo noi siamo eterni bambini che non sanno staccarsi dal lecca lecca?
Probabilmente no. Il fatto è che altrove si pensa che ogni persona adulta sia libera di gestire la propria vita come meglio crede, assumendosi la responsabilità dei rischi che corre e sopportandone le conseguenze senza dichiararsi vittima di pretese sindromi di dipendenza. Da noi al contrario vige un perdonismo di maniera e ogni cateria di infelici, trova subito volonterosi (e qualche volta pelosi) soccorritori capaci di mettere in azione complicate e costose reti di recupero, in questo dei ludopatici.