Simona Dollfus: “Vi racconto mio papà Ennio..”

Dolfus EnnioEnnio Dollfus, un uomo di altri tempi, oggi merce rara: un alessandrino di adozione, un atleta, un signore anche d’animo che amava il teatro, i suoi allievi, ai quali teneva lezioni di dizione, storia del teatro, trucco, mimo, nella scuola che ha fondato, “I Pochi”. Una scuola che ha sfornato attori di spicco, come ad esempio Massimo Poggio. Ennio Dollfus portava la sua grande passione per il teatro, che amava, anche fra la gente, organizzando spettacoli nei cortili, nelle carceri, negli ospedali psichiatrici, nelle scuole. Ma Dollfus amava anche la vita e la sua famiglia.
Per questo abbiamo chiesto alla figlia Simona, che ha gentilmente accettato, di raccontarci la sua storia, vista con gli occhi di una figlia che adorava il padre.

P.C.Lava

Ennio Dollfus, mio padre
di Simona Dollfus

Sto scrivendo di getto alcuni ricordi che mi pare non siano ancora apparsi negli articoli su di lui. D’accordo, Ennio secondo Simona, dato che molti suoi allievi/amici/avversari hanno il loro Ennio.

Ennio Dollfus von Volckersberg dei conti di Oberstein (italianizzato “di Montevulcano” dal fascismo) è nato il 21 aprile 1920 a Palermo, ma presto si è ritrovato a Cuneo e poi ad Alessandria, dato che suo padre si trasferiva spesso, essendo ispettore delle ferrovie. Prima della guerra, Ennio era un atleta: campione provinciale di marcia, sci di fondo, e aveva pure provato la boxe: non era fortissimo, ma aveva molto fiato e riusciva a stancare l’avversario.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, è passato appena possibile nelle file dei partigiani e qui sarebbe bello riascoltare lui stesso mentre narrava alla figlia bambina le peripezie, la cattura, la fuga, la caduta da un burrone con conseguente amnesia, la fame… Lui che era così portato per le lingue (tanto che, quando aveva perso la memoria, non sapeva neppure se era italiano o francese), ma non ha mai voluto imparare il tedesco la lingua dei nazisti.

In guerra papà aveva scoperto una caratteristica che, in seguito, gli sarebbe servita nell’affrontare diabete e tumori: davanti a un pericolo, non perdeva la testa, anzi, diventava freddo e lucido, così ha salvato la vita a sé stesso e ai suoi soldati, era tenente e pur essendo un bravo organizzatore e leader, non avrebbe potuto salire di grado, perché non condivideva parecchie regole di disciplina, tanto che spesso finiva in punizione.

Si era fatto crescere la barba, perché molti suoi sottoposti erano più anziani di lui.
Una volta, questi volevano torturare un prigioniero per farlo parlare, ma lui l’ha impedito. Quando si è trovato solo con un commilitone ferito, gli ha versato tutto l’alcool che aveva, il poveretto è svenuto dal dolore e papà l’ha ricucito come poteva con l’ago e il filo in dotazione per i bottoni della divisa.
Comunque sono convinta che, se fosse stato un giovane in tempo di pace, avrebbe scelto l’obiezione di coscienza, lo ricordo interprete appassionato di letture sui diritti umani, una volta che aveva recitato “Elegia a Emmet Till”, sul linciaggio di un ragazzo nero da parte del Ku Klux Klan, un professore afroamericano tra il pubblico si era commosso.
Gli stenti della guerra però avevano minato la sua salute, e negli anni successivi sono esplosi parecchi problemi.

Tornata la pace, suo padre lo ha fatto iscrivere alla facoltà di legge (“Con la tua parlantina, saresti un ottimo avvocato”), ma Ennio aveva la passione per il teatro e organizzava spettacoli nei cortili. Per date e luoghi precisi, ci sono dei libri di Lucio Bassi, Alberto Ballerino e Luciano Bevilacqua.

A proposito, papà aveva anche fatto parte di un gruppo gospel, che riproponeva le armonie vocali alla Golden Gate Quartet. Era molto intonato e aveva una bella voce, ma purtroppo non ho registrazioni, come neppure filmati dei suoi spettacoli.
Lasciata l’università, ha lottato molto perché l’Istituto d’Arte Drammatica I Pochi divenisse scuola comunale: una delle prime pubbliche – e quindi alla portata di tutti – in Italia.  È sempre attuale il dibattito sull’importanza della cultura anche in tempo di crisi, no? Ormai è ampiamente dimostrato il valore educativo e terapeutico dell’arte, infatti, la maggioranza degli iscritti alla scuola non sognava di diventare professionista, bensì di scoprire in sé potenzialità espressive ed emotive latenti, arricchirsi ed arricchire altri.

Ennio portava il teatro (sperimentando anche autori poco noti) nei paesini, nelle carceri, negli ospedali psichiatrici, nelle scuole, con attrezzature facilmente trasportabili e adattabili a spazi ristretti.
Io non ho frequentato i corsi (che all’inizio duravano tre anni, poi ridotti a due), dunque non posso raccontare come avvenivano le lezioni di dizione, storia del teatro, trucco, mimo… bisognerebbe interrogare qualche ex allievo.
Semplicemente, quando c’è stato bisogno di un’attrice bambina, è stato naturale pensare a me, che avevo respirato teatro “in casa” ascoltando i miei genitori e avevo imparato da loro l’ ortoepia, a cui papà teneva molto.

Ogni tanto Ennio veniva chiamato alla Rai per dei radiodrammi (e così anch’io avevo cominciato a lavorare lì), non in televisione, sempre per le sue difficoltà di memoria.
Ennio scriveva anche copioni, con un gusto per l’ assurdo e un senso dell’ umorismo che lo accompagnava pure nella vita. Mi manca immensamente la sua capacità di sdrammatizzare e ironizzare su tutto, persino sui suoi “cancri”, come li chiamava senza giri di parole….

Mi sono accorta che è meglio specificare “arricchirsi e arricchire interiormente”, dato che molti pensano che tutta la gente di spettacolo guadagni bene… .
Nel caso di Ennio, parafrasando Faber, era un conte “senza corona e senza scorta”, pagato come un semplice impiegato e non come un dirigente, non essendo laureato. Riguardo all’arricchimento interiore degli altri, posso affermarlo perché mi è stato detto da suoi ex allievi che non è stato solo un maestro di teatro, ma di vita.
Per esempio, nel mostrarsi esigente con sé stesso e con gli altri: non importava che la platea fosse gremita o che ci fosse poco pubblico, bisognava sempre dare il meglio.

È questione di rispetto parola importante per lui, che si rivolgeva al prossimo con la stessa attenzione, che si trattasse dell’ addetto alle pulizie o del personaggio importante.

Rispetto anche per l’ambiente: amava molto la natura, e sono sicura che avrebbe approvato la mia decisione di diventare vegetariana.
 È traumatico andare in pensione quando si ama il proprio lavoro, al punto da non seguire orari ma dedicargli gran parte del tempo libero.
E in fondo non staccava mai, perché anche quando guardavamo insieme un film, papà lo analizzava dal punto di vista dell’ esperto, per eventualmente suggerire ai suoi attori di notare certi aspetti.

Così, al momento di lasciare i suoi Pochi (con grande dolore), ha resistito poco al proposito di non fondare un’altra compagnia per non fargli “concorrenza”: ed ecco il Teatro Tascabile, che nei prossimi giorni si esibirà, il motivo per cui mi è stato chiesto di parlare di Ennio,  immagino… .

Sono arrivata a papà pensionato attivo, e intanto si accumulano i flashbacks, come i giochi meravigliosi che inventava per me bambina, passando da un dialetto all’altro, mimando le Fiabe Sonore… .
Il diabete scompensato ha afflitto Ennio con molte gravi conseguenze, ma è risaputo che una forte passione aiuta a combattere, probabilmente papà si sarebbe lasciato andare, se non avesse tanto amato il teatro.

E quando è sopraggiunto il primo tumore, alla laringe, la sua principale preoccupazione era che il chirurgo gli preservasse le corde vocali, per continuare la sua attività.
Ha persino rinunciato all’onnipresente (anche nelle foto) sigaro toscano!
Ma in seguito è arrivato il linfoma, con corredo di operazione, visite anche in Francia, chemioterapia, radioterapia.
Eppure continuava a organizzare corsi, eppure era lui a incoraggiare me (che soffrivo di depressione) e a promettermi che per me ci sarebbe sempre stato (mentre sapevamo entrambi che non aveva più molto da vivere), eppure trovava la forza di intrattenere la suocera paralizzata a letto sfilandole davanti con cappelli diversi e trasformandosi in diversi personaggi.

Io non ero presente l’11 gennaio 1993 (c’era mamma), il mio ultimo ricordo di papà vivo è stato il giorno prima, era già in coma, gli tenevo la mano e lui ha risposto alla mia stretta. Riflesso o ultimo gesto d’affetto?

Non saprei rispondere, come non so se sia stata una coincidenza essere investita da una macchina l’11 gennaio 1999 (esattamente sei anni dopo) ed essere ancora qui, ho ripensato alla sua promessa di starmi vicino, e io non sono affatto superstiziosa o credulona. C’è chi non ama gli applausi ai funerali, ma devo ammettere che sarei rimasta male e forse anche mia madre se un uomo di spettacolo come papà non fosse stato salutato così, lui dal palco era solito applaudire a sua volta il pubblico per ringraziarlo dell’ attenzione, e questa è stata la differenza.