Sono di razza umana, europeo, di nazionalità italiana, di pelle bianca, di sesso maschile, ho quasi settant’anni. Cioè a dire per il pensiero mainstream, un perdente.
Vediamo di spiegare. Quando frequentavo le elementari l’uomo era il dominatore del creato, il vertice indiscusso di tute le speci animali. La cultura occidentale, nelle sue varie, declinazioni al di quà e al di là dell’Atlantico, non aveva rivali. Era giunta al culmine della sua evoluzione con la definizione delle regole del vivere democratico con il suffragio universale, mentre il progresso scientifico sconfiggeva sistematicamente antichissime piaghe, aumentava la durata media della vita (che in verità continua ad aumentare anche ai nostri giorni nonostante tutti i profeti di sciagure). Cresceva la ricchezza prodotta, con sempre meno biblico sudore della fronte, e nel corso degli anni nuovi popoli entravano a far parte del mondo civile. Certo molto restava da fare, certo molte erano le storture da raddrizzare, molte, moltissime, le ingiustizie ancora impunite, ma, dopo le due dolorosissime guerre mondiali, il senso comune abbracciava con convinzione l’idea di una coesistenza pacifica ripudiando (come da nostra Costituzione – che non credo sia per niente ‘la più bella del mondo’ – ma qualcosa di giusto lo dice) l’idea della guerra come soluzione dei conflitti tra le nazioni.
Fantasie del tipo ‘magnifiche sorti e progressive’? Forse, ma anche no. C’era del vero, c’era del buono come ci sembrava ci fosse del buono anche nell’elaborazione del concetto di ‘Gaia’, della terra concepita come essere vivente alla cui esistenza collaboravano tutte le specie. Concetto destinato a superare, lo si vedeva, l’idea della primazia umana, ma in sostanza corretto, propedeutico al raggiungimento di un sistema di vita migliore. Ok, ma da qui ad arrivare a una ideologia sostanzialmente antiumanistica come quella che mi pare si stia affermando ai giorni nostri, ce ne corre. Eppure con la coda dell’occhio messaggi di questo tipo si colgono ormai dappertutto, nei film, nei documentari, nell’insegnamento scolastico. Sembra che tutti siano ferocemente determinati a mettere in luce soltanto le negatività, l’inquinamento, le scelte scellerate di politica economica e industriale, il riscaldamento globale, la desertificazione, il ridursi della biodiversità. A diffondere insomma l’idea che il futuro ci prospetti soltanto scenari di violenza apocalittici. A creare un clima da fine del mondo.
L’enorme patrimonio culturale che abbiamo alle spalle (malcontati sono sette o ottomila anni di civiltà) viene svalutato, dimenticato, mentre si ammira e si fa tesoro delle ‘perle di saggezza’ che arrivano dai popoli più sperduti e primitivi che hanno un unico pregio, quello di predicare le visioni di una vita estremamente semplificata, tendenzialmente ugualitaria in cui i concetti di merito e di progresso non trovano luogo, sostituiti da un generico animismo, dalla idea dell’uomo che condivide con le altre specie un bene donato, un sistema sacro e quindi immutabile che bisogna guardarsi bene dal turbare. Ma stupisce anche di più che si tratti di concetti e formulazioni che l’intera cultura occidentale ha già elaborato nei secoli. Così accade che i nostri ragazzi magari imparino i rituali sciamanici degli indiani d’America e non sappiano chi è Jacopone da Todi. Che crescano con l’idea che gli insediamenti umani ‘disturbino’ le rotte migratorie degli orsi polari, che i Grizzly di Yelloston siano dei simpatici animaloni.
Stiamoci attenti. Riflettiamo prima di scambiare il mondo reale con quello dei fumetti. Le tanto decantate ‘sacre leggi della natura’ cui tanti oggi si richiamano accusando l’uomo di averle sovvertite, non conoscono pietà né compassione ma, come già aveva intuito Leopardi a proposito dello “sterminator Vesevo” si muovono in un’ottica completamente diversa. E allora l’antiumanesimo di cui accennavamo sopra potrebbe rivelarsi un atto di straordinaria superbia che si fonda su una condizione di straordinaria ignoranza.