Il libro dei marchi [Lo Straniero]

marenzana_angelodi Angelo Marenzana

In occasione dell’anteprima del mio romanzo, L’uomo dei temporali, presso la Biblioteca Civica “Francesca Calvo” di Alessandria, ho ricevuto come graditissimo omaggio la copia di un volume edito un paio d’anni fa dalla Fondazione Cassa di Risparmio (curato da Domenico Picchio, Rino Tacchella e Gianni Tagliafico) che racconta l’economia alessandrina dalla fine dell’ottocento ai giorni nostri attraverso la pubblicità e i marchi aziendali.

Più di duecento pagine di immagini capaci di ricostruire lo stile grafico e l’atmosfera di un epoca che sembra sfumare attimo dopo attimo e di cui stiamo perdendo il forte valore comunicativo. Metallo, ceramica, plastica, pellami, cristalli, argenti, vetro, cartone sono i materiali su cui sono stati impressi i marchi di attività cittadine piccole o grandi, raccontano la storia di attività commerciali e imprenditoriali che hanno saputo resistere all’impatto del tempo, degli eventi bellici, di crisi e ricostruzioni. Ma che, molte di loro, hanno ceduto, forse, di fronte a un cambio generazionale e culturale che imponeva al commercio e a uno sviluppo di cui stiamo ancora vagheggiando, nuove regole.

Immagini particolarmente evocative ci riportano ai momenti dello splendore di BorsalinoBorsalino_fabbrica (che, naturalmente, la fa da padrone), alla sempre fiorente Paglieri, o alla pasticceria di Signorelli. Largo spazio alla quotidianità di piccole botteghe artigianali capaci di abbracciare un mondo produttivo che si spalmava dalla bicicletta, alla confetteria, dalle calzature alla birra. E così ecco riemergere dal passato la Birra Michel, gli amaretti di Robaldo, o quelli di Marelli (“riconosciuti superiori a tutti gli altri” come impresso in rosso sulla scatola di latta dove spesso si conservavano aghi, fili, ditali e nastri una volta consumato il contenuto originario). E poi gli amari, i chinati, i distillati, il sapone, campanelli targati Peloso, fino ai porta ferri in cuoio di Maino. E via andare tra donne velate e a volte no, a pubblicizzare ciprie e profumi. Oltre a uomini che si radono, bimbi passati al borotalco e donne dagli sguardi profondi, sensuali, tutti compatti a fare la cronaca della reclame di casa nostra.

Un volume che si propone come archivio e allo stesso tempo come un piacere per gli occhi grazie a immagini ritratte come vere forme d’arte. Riapre i canali della memoria, offre un senso di appartenenza anche ai più scettici. Un marchio di mille fabbriche attorno cui ha ruotato l’esistenza di una comunità, timbrato a fuoco su radici ben salde.

Che mi fa sentire un po’ meno Straniero, in un momento in cui queste radici sembrano agitarsi senza presa.