Percorrendo l’antica via del sale, ai piedi del Castello di Casaleggio Boiro, una volta usciti dal bosco si può scorgere una casa a dir poco incantevole. Fu ristrutturata parecchi anni fa mantenendo la sua antica dignità, la facciata è ornata da piante rampicanti che la impreziosiscono come fossero collane, le staccionate in legno non pongono limiti di accesso a visitatori curiosi, non ci sono cancelli.
Ne restai particolarmente colpita qualche settimana fa durante una passeggiata in una domenica estiva e, parlandone con amici, mi dissero che la casa è abitata da una simpatica signora, sicuramente disponibile a farmela visitare anche all’interno. “Anzi! Perché non la intervisti – mi dicono – Mavi Pendibene è una nota scrittrice locale. Avrà sicuramente molte cose da raccontarti”.
Finalmente dopo alcune settimane, riusciamo a combinare un incontro. Nel tragitto in auto verso Casaleggio, cerco di immaginare chi mi sarei trovata di fronte, forse un’anziana signora che mi avrebbe offerto il the servendolo nella sua collezione di porcellane antiche, chissà …. Ma, arrivata davanti alla casa, resto piacevolmente colpita. Avanza verso di me una splendida donna sorridente che gioca con Liù, la sua allegra cagnolona, mentre dalla veranda un gatto sonnecchiante cerca di attirare la nostra attenzione per far notare la sua bellezza sdraiato su una sedia a dondolo. Ci diamo subito del tu, evitando inutili formalità e cortesemente mi mostra la sua casa. Mi racconta che ‘Cascina Boiro’ risale al 1400 circa, un tempo stazione di dazio dei signori del castello, in seguito divenuta locanda. “Un tempo sulla strada tra la Cascina e il Castello sorgeva un ponte levatoio – racconta Mavi – e nel 1966 Sandro Bolchi decise di girare qui i suoi ‘Promessi sposi’.
Mavi Pendibene è un ex insegnante di lingue. Per tre anni ha insegnato a Genova e poi nei paesi della locale comunità montana, quando un giorno nel 1976 decise, insieme al marito di lasciare la città.
Risale a quella data l’incontro con la ‘casa’: “eravamo due ragazzini di buona famiglia, abitavamo a Genova. Era il periodo dell’università, delle occupazioni, delle manifestazioni. Ma quando ci siamo resi conto che le contestazioni del sessantotto non avrebbero cambiato il mondo, abbiamo deciso di cambiare noi la nostra vita”. e così iniziò la loro ricerca, che durò davvero poco. In effetti capitarono da queste parti quasi per caso, attirati forse da un inevitabile destino. Girovagando per Casaleggio ci arrivarono quasi per caso, anzi proprio per caso. Videro alcune persone fuori nel giardino e nel chiedere se conoscevano qualcuno intenzionato a vendere nella zona si sentirono rispondere che proprio quella casa, appena ristrutturata dalle belle arti, era in vendita. Mavi, completamente rapita da ‘Cascina Boiro’, disse al marito: “o questa o niente”. E fu così che iniziò la loro nuova vita.
Nei suoi libri, nei suoi racconti, come nella sua vita del resto, è la casa la protagonista di tutto. Attorno alla casa si svolgono le piccole storie che racconta e fluiscono le profonde riflessioni che sapientemente Mavi riporta sul suo quaderno.
I racconti, tutti brevi e tutti diversi, sono piccole chicche gustose da assaporare senza fretta, o meglio come dice lei: “bisogna seguire il ‘bugiardino’ – che recita – ‘da prendere a piccole dosi’, se leggi tutto assieme non lo apprezzi. È da leggere quando si è agitati, tutto insieme rischia di diventare un sonnifero. Un’amica mi dice che quando è agitata ne legge un pezzo e poi va a dormire serena. Ci sono momenti che qui riesci ad assaporare, un’atmosfera che in città non c’è. Fatta di silenzi, di osservazione, di momenti estatici”.
Finito il tour della casa, ci accomodiamo in cucina, dove Mavi ama scrivere: “scrivo qui in cucina, su un quaderno rigorosamente nero con i bordi rossi e solo con la penna nera. Seduta su quella poltrona a fiori, vicino alla stufa, Liù accoccolata ai miei piedi e il gatto sul bracciolo, un tisana e la neve dalla finestra. Scrivo molto di inverno e poco d’estate, l’inverno mi toglie tutte le responsabilità di ciò che avrei potuto fare in una bella giornata, come andare al fiume con Liù per esempio”.
C’è un pendolo che scandisce le ore, “i rumori silenziosi”, come li definisce lei. Sul tavolo le ortensie del suo giardino.
Mavi, come e quando hai iniziato a scrivere?
“Una sera sono stata invitata a cena da un’amica. Doveva esserci anche un amico comune, che le piaceva … alla fine abbiamo passato una serata a due con il piatto vuoto accanto. Quando sono tornata a casa, triste, ho iniziato a scrivere e mi è piaciuto talmente tanto che ho continuato.”
Come definisci le tue storie?
“Brani, racconti, pensieri, ma soprattutto racconto questa casa.” Per farmi comprendere meglio, decide di leggermi un brano, tratto da ‘Un po’ di sale nell’acqua tiepida’: “un giorno succederà quello che ho temuto per buona parte della mia vita: lascerò questa casa non per mia volontà ma per sopraggiunti limiti di sopravvivenza. Mi auguro succeda in una notte d’inverno mentre la neve cade silenziosa sul tetto e copre i suoni e i rumori. Sarà più facile passare dalla mia bella stanza rossa ad un altrove sconosciuto mentre l’ultimo sguardo coglierà il turbinare fine della neve contro il vetro gelato. Sono stata felice, una donna fortunata e felice. Ho amato vivere qui, seguire le stagioni, addormentarmi con l’ultimo sole sul castello e svegliarmi col canto prepotente del gallo. Ho messo radici forti e profonde come quelle del glicine che ha rotto il muretto e aperto il pavimento della stalla. Ho pensato che non sarei più partita nel momento esatto in cui vi sono entrata, e che non avrei potuto più vivere in nessun altro posto. È stato un sortilegio, una magia, un incanto incredibile. Vorrei che qualcuno l’amasse ancora, dopo di me, come l’ho amata io. Per questo lascio a mio figlio Simone l’angolo della cucina che nelle mattine di febbraio è illuminato dal sole. Potrà sedersi lì sul mio seggiolino a guardare i raggi polverosi che penetrano la penombra e stanano i ragni. Gli lascio il tepore della stufa perché si scaldi nelle sere d’inverno e la fiamma che nel buio rischiara la cucina. Sua sarà anche la finestra sul pollaio con i gelsi lucidi e sullo sfondo, a primavera, la collina bianca di acacie. Lascio ad Harpo il canto delle rane estive che ama tanto e i lumini lucenti delle lucciole che insegue beato nel prato nelle notti d’estate. Lascio a chiunque entrerà qui la sensazione che qualcosa di incredibile stia per succedere e la certezza che sarà qualcosa di bello. Alla mia casa lascio tutto l’amore che mi è stato possibile darle e la gratitudine per averla incontrata in un lontano pomeriggio di primavera. A lei, davvero, una riconoscenza infinita.”
Ci sono anche racconti molto divertenti, come quello del venditore di aspirapolvere che pur di convincerla a comprare le ripulisce la casa a più riprese, senza riuscire comunque nel proprio intento. Ci sono riflessioni molto profonde e delicate.
Anche se lei confessa che nel tempo il tono dei libri è un po’ cambiato: “È mancato il mio ex marito e forse sono un po’ invecchiata.”
Hai mai provato a cimentarti a fare altro? In fondo questa casa si presta anche ad essere dipinta…
“Ho provato con l’acquarello un po’ di anni fa, ma scrivere per me è più semplice”. In effetti qualche sera fa leggendo ad alta voce i racconti di Mavi con un’amica, abbiamo avuto entrambe la stessa sensazione, lei dipinge scrivendo. La natura la scrive.
E continua:“Il modo in cui scrivi, l’inquadratura che offri, un po’di traverso ,un po’ obliqua, è quello che ti dà la voglia di continuare a leggere. La scrittura ti obbliga ad osservare. È un metodo di conoscenza straordinario.”
Ama Virginia Wolf, Emilie Dickinson, le poesie. Predilige i classici ai moderni. Citando proprio la Wolf, aggiunge: “Tu sai quello che vuoi scrivere. Poi c’è un momento in cui trovi la traccia è come se ci fosse un solco, un percorso, se lo prendi è come se non riuscissi a contenere le parole. Come un barattolo di marmellata caduto …”
Oggi Mavi Pendibene vive qui sola, anche se ci tiene a sottolineare che “la solitudine quando è scelta è bella, anche se io sola non sono. Diciamo che sono logisticamente sola, ma ho un figlio, un nipote, una nuora, un fratello …. Insomma sono molto amata.”
Lavora nei fine settimana in un noto centro commerciale locale per tenere il contatto con la realtà.
Ma non hai paura a stare qui da sola, non ti annoi?
“Con me stessa non mi annoio mai. Mi piaccio tanto e mi perdono tutto. Se stai bene con te stesso come fai a non andare d’accordo con te? Non ho molti amici, quei pochi abitano tutti strategicamente all’estero. Almeno dopo un anno che non ti vedi hai qualcosa da dirti, tutti i giorni no!”
Mavi rivela un equilibrio interiore non comune, l’armonia che si respira nella sua casa e che si può leggere tra le sue righe racconta una vita davvero meravigliosa.
I suoi libri in ordine cronologico sono: Un po’ di sale nell’acqua tiepida del 2006; Ti sia dolce l’autunno, del 2008, dedicato a Mario Rigoni Stern a cui deve il titolo; Frittelle di mele a mezzanotte del 2010, che racconta il primo anno nella casa; infine Complice l’estate, del 2011, l’unico con dialoghi e racconta un’estate passata con il nipote.
L’ultimo lavoro in uscita il prossimo novembre, si intitola “I miei fratelli erano marinai”.