“Hai visto, La Stampa ha lanciato lo stesso vostro sondaggio su Rita o commissario: vi copiano!”, mi dice ieri un amico, in riferimento all’iniziativa del quotidiano torinese. “Ma va là – rispondo io – semmai siamo noi ad avere giocato d’anticipo, ma è solo la dimostrazione che quella lì è la questione di più grande attualità, e di cui tutti parlano in città”.
Dopo di che, l’amico in questione comincia a discutere di attendibilità o meno di questo, come di altri, sondaggi, prendendo la questione molto sul serio.
E lì, naturalmente, scoppio a ridere. Perché per me i sondaggi, on line o off line che siano, sono e rimangono un divertissement assolutamente privo di scientificità: un modo per segnalare che un certo argomento è ‘caldo’, e nulla più. Ed è di menti diaboliche e perverse ipotizzare che ci sia, anche in questo caso, chi cerca di manipolarne l’esito, mettendo in campo ‘truppe cammellate’ in versione digitale. Ovviamente per dimostrare che in città il morale delle truppe è alto, e il consenso c’è, eccome.
Se un fatto è evidente ormai è che i sondaggi sono il capolinea della democrazia, o quantomeno un suo surrogato assolutamente aleatorio, e non hanno mai invertito il senso della realtà, ne riescono a condizionarla. Per cui, anche se i tentativi di farne strumento di propaganda politica sono costanti (si vedano anche le osservazioni sul sito di Beppe Grillo riguardo ai sondaggi di Ballarò), e un po’ patetici, cerchiamo di non abboccare all’amo. Il consenso politico si misura alle urne. Il resto è aria fritta. E l’umore degli alessandrini, in questo settembre incerto, non lascia presagire nulla di buono.