Non sono uno storico di casa nostra, nemmeno un saggista. In Alessandria ci sono nato e cresciuto. Punto. Questo mi basta per chiedere alla mia città se gentilmente si presta a trasformarsi nel palcoscenico su cui far muovere i miei personaggi e, in prima fila, lui, il commissario di origini siciliane Augusto Maria Bendicò, protagonista del romanzo L’Uomo dei temporali. Mi limito a raccontarla, la “Città Mia”, ecco tutto. E ci provo partendo da un’angolazione tutta personale. Scrivo e lascio spazio d’espressione a una soggettività che si è nutrita del come l’ho vissuta, e soprattutto, del dove l’ho vissuta. Via 1821 per dieci anni, e gran salto in Pista a metà dei ‘60. Un balzo di quartiere. Un mutamento di abitudini.
Poi c’è una famiglia alle spalle, il ponte tra me e la città, capace di interpretarne i fatti accaduti fin dall’inizio secolo (con un nonno materno della stessa leva di Mussolini e quello paterno deceduto negli stessi giorni dei funerali di Stalin, un padre prigioniero in Germania, zii fatti prigionieri in Africa dagli inglesi o scappati in modo rocambolesco dall’Albania) e di comunicarmeli con assoluta spontaneità e naturalezza attraverso l’arte del racconto orale, di spiegarne le emozioni con lo spirito e la cadenza del dialetto (di cui molti vantano l’essere unico nel panorama linguistico). A tutto questo aggiungiamo i pettegolezzi di una casa a ringhiera o delle chiacchiere sulle panchine dei giardini della stazione, i soprannomi spesso nati da vecchi rancori e dolori ancora legati alla guerra e mai risolti.
Insomma, un poutpourri di fatti, pensieri e idee che ho annusato, ascoltato e che si è insinuato in me, invisibile quanto determinato. Un insieme di vissuto ed educazione che si libra tra le pieghe della nebbia, delle architetture e di mille schegge di una umanità contro la quale sono inciampato più e più volte, ma sempre sostenuto da una buona dose di curiosità. Un “intero” che fa dire oggi a mia madre (dopo aver letto L’uomo dei temporali) …ma come hai fatto a scrivere queste cose, tu, che nel ’40 non c’eri ancora? Dico questo perché non ho pretese di generalizzare alcun ché. Un altro alessandrino nato nel 54 potrebbe avere un’immagine diversa della nostra grigia provincia. Magari più colorata. Del resto è opinione comune che un romanzo racconta una molecola di mondo e di tempo nella straordinaria varietà geografica, temporale e umana che ci offre la vita fin dagli albori della Creazione. Così, un giorno, acquisiti gli elementi base della scrittura necessari a strutturare un lungo e articolato racconto tutto alessandrino senza incorrere nel rischio di critiche troppo acide, ho deciso di consegnare il mio personale scrigno di ricordi e riflessioni alla memoria del pubblico. Ho travestito Alessandria con gli abiti del tempo che fu, perché la moda di oggi mi aggrada poco.
A parlare dell’Alessandria anni 2000 mi viene meno la punta di emozione necessaria a trasformare l’attuale ambiente cittadino in una storia da scrivere con quel minimo di passione sufficiente per riuscire a renderla apprezzabile da un pubblico piccolo o grande che sia. Vestita delle atmosfere degli anni ’40 mi mette più a mio agio. Pesco nella memoria e racconto. Mi infilo a piene mani in quella zona gommosa composta di verità e verosimiglianza, di sensi stimolati, e ne modello figure a me il più confacenti possibile. Con atmosfere più avvolgenti in un gioco di specchi e contraddizioni tra tragicità, dramma, speranze e attese del futuro. Trascuro l’attualità da cui mi sento sempre più distante. Uno Straniero, appunto. Travestito da Uomo dei temporali.